AstraZeneca, 469 casi di trombosi è un numero insignificante secondo l’Ema “il vaccino è sicuro”

Dopo il pronunciamento dell’Ema sul vaccino AstraZeneca, ritenuto sicuro dall’Ente regolatorio europeo, possono riprendere le somministrazioni del farmaco anglo-svedese. 

Il responso dell'Ema: AstraZeneca è sicuro
Jean-Christophe Guillaume/Getty Images

La notizia era nell’aria e, da ieri pomeriggio, è ufficiale: l’Agenzia Europea per i Medicinali ha giudicato il vaccino AstraZeneca perfettamente sicuro ed affidabile. Il farmaco, finito al centro dell’attenzione dopo una serie di sospette reazioni avverse che hanno portato all’apertura di indagini da parte di alcune procure italiane, alla sospensione di alcuni lotti di produzione del trattamento e – infine – alla sospensione totale della somministrazione in diversi Paesi europei.

Decisioni che hanno imposto all’Ema la necessità di procedere ad una nuova, ulteriore revisione circa la sicurezza del farmaco, conclusa ieri dall’ente regolatorio, che ha confermato come “i benefici del vaccino superino i possibili rischi“. Una tesi sostenuta, in realtà, sin dal primo giorno all’interno dell’Agenzia e anche dai principali esperti italiani – da Pregliasco a Capua, da Galli a Rasi e Crisanti – e che porta, a partire da oggi, a una nuova ripartenza nelle somministrazioni del vaccino AstraZeneca.

Dalle valutazioni fatte dall’Ema emerge che il trattamento non possa essere essere associato a un aumento del rischio di eventi tromboembolici che, in totale, sono stati 469. Questa cifra emerge dall’insieme di studi clinici e segnalazioni successive all’autorizzazione all’uso e che rappresenta un numero inferiore a quello normalmente atteso nella popolazione: si pensi che, soltanto in Italia, si registrano oltre 60 mila casi l’anno, circa 166 al giorno. A questo dato si aggiunge, nel rapporto stilato dall’Ema, il fatto che non vi sia alcuna base fisiologica attualmente conosciuta che permetta di affermare che alcuni degli eventi tromboembolici verificati possano essere stati innescati dalla somministrazione del farmaco.

D’altro canto, l’ente regolatorio europeo non ha escluso che possa esistere un legame con un particolare tipo di trombosi: una coagulazione intravascolare disseminata che – in casi rari – può determinare una trombosi venosa cerebrale, dovuta all’occlusione di una vena del cervello. Questo evento tende a verificarsi in pazienti affetti da tumori del sangue o in donne in terapia estroprogestinica – vale a dire donne che assumono la pillola anticoncezionale. L’analisi dei rapporti ha evidenziato un incremento di episodi in donne al di sotto dei 55 anni, non notato nella popolazione più anziana, tale da non permettere all’Ema da escludere in assoluto un legame tra questi casi e la vaccinazione. Tuttavia il basso numero di casi e il breve tempo di osservazione espone l’analisi a un forte rischio di distorsione, che non permette in questa fase di arrivare a formulare un parere sufficientemente fondato.

Il “caso AstraZeneca” ha portato, intanto, ad una serie di modifiche al foglietto illustrativo che accompagna il farmaco. Tra le novità, l’invito a rivolgersi a un medico in caso di “affanno, dolore al petto o allo stomaco, gonfiore o freddo a un braccio o una gamba, mal di testa grave o in peggioramento o visione offuscata dopo la vaccinazione, sanguinamento persistente, piccoli lividi multipli, macchie rossastre o violacee o vesciche di sangue sotto la pelle“.

In realtà, molti di questi sintomi sono abbastanza comuni in tutte le normali reazioni vaccinali. Ma, qualora un medico dovesse confermare la diagnosi di coagulazione intravascolare disseminata, l’applicazione di una terapia anticoagulante è generalmente efficace: l’elemento decisivo, piuttosto, sta nella capacità di identificare chi debba approfondire gli accertamenti e chi no. In questo senso, non possono essere d’aiuto i test rapidi della coagulazione – non validati in trombosi rare e atipiche come queste – e  diventerebbe indispensabile risalire all’anamnesi personale e familiare per eventi trombotici.

Ciò nonostante, appare al momento sconsigliato a persone con aumentato rischio trombotico di sottoporsi, prima della vaccinazione, a una terapia anticoagulante. Questo perché non è ancora chiaro se tale profilassi possa realmente abbassare il rischio di una forma di trombosi tanto rara mentre è d’altra parte accertato il pericolo di emorragia dato dalla somministrazione di farmaci come l’eparina. Seppure molto basso in termini percentuali, questo rimane un pericolo che supera, allo stato attuale, il rischio – ancora da dimostrare – di trombosi collegate alla vaccinazione. Infine, se si pensa al fatto che le persone che hanno una storia di trombosi o un rischio trombotico sono decine di migliaia, appare evidente che somministrare preventivamente eparina a ciascuna di esse rappresenterebbe un provvedimento affrettato e potenzialmente rischioso.

 

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