Stefano Feniello, il papà Alessio non vuole pagare. Andrà a processo

Alessio Feniello andrà a processo

L’aveva detto, Alessio Feniello. Aveva detto, giurato, e gridato a gran voce di non dare neanche un euro allo Stato. Perché, del resto, avrebbe dovuto pagare? La sua colpa, o meglio, quella che gli è stata attribuita come tale, è di aver portato dei fiori sul posto dove il figlio, due anni fa, ha perso la vita. Il figlio si chiamava Stefano e lo si ricorderà associando il suo nome alla terribile tragedia di Rigopiano, quando una slavina si è abbattuta sull’hotel, distruggendo la struttura e anche la vita di quelli che si trovavano lì per trascorrere qualche giorno tra la neve. Stefano Feniello, originario di Valva, aveva 28 anni. E mesi fa la giustizia, che sembra aver perso ogni briciolo di umanità, si è invece scagliata contro il padre del ragazzo.

La colpa di Alessio Feniello, che da anni vive disperato, con la moglie, cercando di dare voce a un dolore ed elaborare un disastro non ancora compreso, è quella di aver violato i sigilli giudiziari, apposti per delimitare l’area della tragedia. Il 21 maggio dello scorso anno, infatti, Feniello aveva voluto portare, insieme alla moglie, un mazzo di fiori nel luogo dove suo figlio perse la vita, scavalcando i sigilli. Il gip del Tribunale di Pescara aveva disposto un decreto di giudizio immediato nei confronti dell’uomo, dopo che quest’ultimo si era opposto al pagamento di una multa da 4.550 euro.

Dopo il rifiuto del padre di pagare, il prossimo 26 settembre inizierà il processo a suo carico. Alessio Feniello, su Facebook, si è sfogato così: “Ho sempre sostenuto che avrei affrontato il processo”, ha scritto. Per lui, messaggi di solidarietà e vicinanza.

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Anche il Vicepremier Matteo Salvini è intervenuto sulla vicenda: “È pazzesco. Andrò a processo con lui“, ha dichiarato. Intanto, mesi fa, alla notizia dell’avvio del procedimento a suo carico, Feniello aveva così spiegato: “Era maggio, mia moglie voleva portare fiori a Rigopiano, quella è anche la tomba di nostro figlio, è un luogo che ci dà conforto. Il cancello era aperto, siamo entrati. Non abbiamo scavalcato niente, non abbiamo rotto niente. C’erano gli operai al lavoro, hanno chiamato i carabinieri. Siamo stati scortati fino al punto dov’è morto Stefano e riaccompagnati all’uscita. Pensavo fosse finita lì”.

Invece, a settembre, mentre la posizione della moglie Maria era stata archiviata, la sua no. “La condanna è ridicola. Che pensassero a fare i processi seri!”, disse mesi fa l’uomo. “Mi hanno ucciso un figlio e dovrei preoccuparmi di questo? Io non ho paura. Chiedo giustizia. E lo ripeto sempre, per farmi tacere mi devono ammazzare. Piuttosto, non vorrei essere diventato troppo scomodo. Ma se mi vogliono intimorire hanno sbagliato persona”.

Fonti: Facebook Alessio Feniello, Twitter Matteo Salvini

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