Lockdown locali e nuove chiusure, il PD chiede un nuovo Dpcm già domani

Si discute animatamente, all’interno del Governo, sulle modalità e sui tempi delle nuove misure restrittive di contrasto alla diffusione del coronavirus. E mentre si continua a parlare di chiusure mirate per le aree più a rischio, il lockdown totale si fa sempre più incombente.
Il nuovo giro di vite è in arrivo. Il Governo lavora ad una ulteriore stretta sulle misure di contenimento al coronavirus, con la possibilità di avviare, già dal fine settimana, una serie di chiusure mirate nei territori più a rischio, in accordo con i Governatori delle Regioni e con i sindaci. Intanto, però, all’interno dell’Esecutivo le acque sono sempre più agitate. Alle polemiche degli ultimi giorni, con l’ipotesi di una possibile crisi mantenuta viva dalla grande voglia di rimpasto di Matteo Renzi – e di parte del Pd – tornano ad aggiungersi le discussioni sulla scuola, tema che sta tornando di strettissima attualità, ora che il lockdown sembra avvicinarsi.
A proposito delle chiusure regionali, il criterio con cui scegliere le aree da sottoporre a nuove restrizioni sembra essere stato deciso e messo nero su bianco già nel Dpcm del 25 ottobre: si interviene laddove l’indice di contagio Rt superi quota 2, livello che rappresenta una velocità di trasmissione praticamente fuori controllo, soprattutto se unita, come nel caso della gran parte dei nostri territori, al completo fallimento dei sistemi di tracciamento.
Le aree a rischio
Ad oggi, le Regioni al di sopra della soglia – limite sono due: Lombardia e Piemonte. Aree per le quali da più parti – e da giorni – si invocano lockdown mirati, incontrando la resistenza di sindaci ed amministratori: “Avrei fatto il lockdown a Milano 10 giorni fa“, spiegava l’altro ieri il direttore di microbiologia e virologia dell’università di Padova Andrea Crisanti, precisando che “Per vedere gli effetti delle misure del governo ci vorranno altri 7-10 giorni. Ma, se continua così, non possiamo aspettare altri 10 giorni“.
A queste due regioni si uniscono diverse grandi città e capoluoghi: da Milano, Napoli Torino, e Genova, fino a Caserta, Varese e Como. Si salva, per ora, Roma, dove però la situazione appare in rapido peggioramento. Probabile – doveroso, diremmo – che scatti una trattativa tra il Governo e le amministrazioni delle città – e delle aree – più a rischio per concordare, in tempi auspicabilmente rapidi, le nuove restrizioni da far scattare. Provvedimenti che dovrebbero comportare la chiusura delle scuole medie e di gran parte delle attività commerciali, mentre sugli spostamenti tra regioni rimane grande la confusione, con profonde divisioni interne all’Esecutivo.
Nel caso del capoluogo lombardo, la trattativa in corso riguarda il perimetro dell’area che verrà, eventualmente, sottoposta al blocco. Il Governo ritiene che fermare solo la città non sia sufficiente e discute con il sindaco Beppe Sala e con il Governatore Attilio Fontana su un’area di “cinturamento” che riguarderebbe l’intera area metropolitana: qui, verrebbero fermate tutte le attività non essenziali, con un vero e proprio lockdown che potrebbe essere operativo già da lunedì. A quel punto, non si esclude che una misura analoga venga adottata anche in tutte quelle aree metropolitane in cui il contagio corre più veloce: Napoli, Bologna, Torino e Roma.
Segue l’andamento dei contagi con un certo allarme anche il Ministro della Salute Roberto Speranza, secondo cui il percorso stabilito in primavera, in occasione della prima ondata, rimane la strada da seguire: entrati nel cosiddetto “livello 4” dell’epidemia, scattano le chiusure che riportino sotto controllo la curva. Un approccio che, se in passato ha riguardato l’intero paese, potrebbe teoricamente essere adottato anche nei casi di singole città. In punta di decreto, addirittura per singoli quartieri. Anche perché l’alternativa rimane un lockdown totale e generalizzato – misura alla quale il paese sembra comunque destinato – cui il Premier Conte continua – per la verità sempre più debolmente – a dirsi contrario.
Come già accaduto in passato, a sostenere la necessità di interventi restrittivi immediati c’è il Partito Democratico, che – per bocca del proprio capo delegazione Dario Franceschini – ha confermato la linea di grande prudenza nella riunione che ieri sera ha visto incontrarsi a Palazzo Chigi il Presidente del Consiglio ed i delegati delle forze di Governo. Lo strumento efficace, il lockdown locale, è a disposizione: che venga usato per raffreddare la curva dei contagi, spiegando al Paese l’assoluta necessità di un intervento tanto drastico, sostiene Franceschini, che chiede al tempo stesso a Speranza di motivare davanti alla popolazione la scelta di bloccare i movimenti di tutti e di chiudere le scuole attraverso una chiara spiegazione dei dati a disposizione.

La polemica sulle scuole

Eppure, la scuola rimane un nervo scoperto. Il Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina ripete che gli istituti sono luoghi sicuri, e porta a sostegno della sua tesi due studi che confermerebbero il basso livello di contagi registrato nelle classi dalla riapertura di settembre ad oggi. “Le fasce più deboli sono quelle che pagherebbero di più la chiusura“, sottolinea. E chiede ancora una volta al Governo di impugnare le ordinanze con cui i Governatori di Campania e Puglia hanno sospeso le lezioni. Vincenzo De Luca, nella giornata di ieri, ha infatti nuovamente stabilito la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado nella regione: dopo che aveva frettolosamente ritirato – nelle scorse settimane – un primo provvedimento di questo tipo, il Governatore deve aver preso nuovo coraggio dall’esempio del collega pugliese Michele Emiliano.
Sul tema, però, Conte non lascia spazio alle richieste di Azzolina: “Chi ha chiuso lo ha fatto nella piena legittimità formale“, spiega il Premier, chiudendo a qualsiasi ipotesi di intervento dell’Esecutivo. Ora, al fianco del Ministro dell’Istruzione, rimane solo Italia Viva, contraria al ritorno alla didattica a distanza e, più in generale, all’idea che le Regioni possano procedere con questo grado di autonomia, che finisce per creare un effetto “ordine sparso” giudicato controproducente dall’ala renziana del Governo.

Il PD insiste per anticipare il Dpcm

Un ruolo chiave, inevitabilmente, lo giocherà proprio il Presidente del Consiglio. Conte quindi, lascia sfogare le polemiche sulle scuole e si concentra sulle tempistiche da adottare in vista del nuovo Dpcm, il cui varo potrebbe essere anticipato rispetto alla data prevista e ancora ieri fatta circolare come ipotesi principale del 9 novembre. I numeri, ragiona il Premier, non consentono di aspettare tanto a lungo. E così, mentre il PD propone di intervenire immediatamente –  entro il 3 o il 4, comunque a ridosso della festività del 1-2 novembre,  secondo Repubblica – prende corpo quello che dall’Esecutivo definiscono un lockdown morbido: chiusura dei centri commerciali nei fine settimana, limitazioni ulteriori al settore della ristorazione e agli orari delle attività commerciali. Non si esclude, inoltre, che il coprifuoco – che attualmente scatta tra le 23 e le 24 a seconda delle Regioni – possa essere anticipato alle 20, con l’indicazione generale per i cittadini di uscire esclusivamente per “comprovate esigenze” e muniti di autocertificazione.  Per quanto riguarda, poi, gli spostamenti tra regioni, si valuta l’opportunità di inserire un divieto che proibisca di oltrepassare i confini delle regioni che abbiano fatto registrare un indice Rt superiore alla soglia di 1,5. Il Governo, però, preme affinché a firmare le ordinanze siano i Governatori, insieme al Ministro della Salute.

La nuova gestione parlamentare dell’emergenza

I sondaggi e le rilevazioni che vengono continuamente effettuate, intanto, parlano chiaro: la popolarità di Conte si muove in modo inversamente proporzionale alla crescita dei contagi. Se nella prima fase della pandemia il Premier aveva raccolto il favore di una larghissima fascia di popolazione, le cose sembrano procedere in modo completamente diverso. E’ anche per questo, probabilmente, che il Presidente del Consiglio sta inaugurando una modalità tutta nuova di gestione dell’emergenza: ha chiesto ai Presidenti delle Camere, Roberto Fico ed Elisabetta Casellati, di selezionare autonomamente luoghi e modalità per dare il via ad un costante confronto con il Parlamento. Una novità assoluta, che dovrebbe portare ad un costante rapporto di confronto tra il Governo e le Aule, anche in merito alle misure da adottare in vista di nuovi Dpcm.
In quest’ottica, l’idea di varare un nuovo decreto prima di mercoledì 4, quando Conte dovrà intervenire in Parlamento per fare il punto sulla gestione della pandemia – con le sue dichiarazioni che saranno tra l’altro oggetto di voto – apparirebbe come un grave sgarbo.

L’ipotesi di lockdown nazionale

L’intervento nazionale, aldilà delle tempistiche, ci sarà. E servirà anche come elemento di mediazione con sindaci e Regioni sul tema dei lockdown locali: una trattativa che durerà probabilmente per tutto il fine settimana. La sensazione, in alcuni casi, è che vi sia una sorta di continuo rimpallo di responsabilità, con Governo e Regioni che attendono l’uno le mosse delle altre. Un atteggiamento che, oltre ad essere certamente degradante per le istituzioni, non può che portare alle estreme conseguenze: quando qualcuno – alla fine – interverrà, dovrà farlo nella maniera più dura.
Sul tema dei mini-lockdown, oltretutto, è da registrare la costante contrarietà di Matteo Renzi, convinto che i blocchi cittadini o metropolitani siano destinati a non produrre alcun effetto. E così nel Governo si ragiona sull’estensione a livello regionale delle chiusure. Se non su un nuovo, durissimo, lockdown nazionale.
Non è un caso che in Parlamento la voce che vorrebbe un’Italia, già a partire da lunedì, “come la Francia“, giri in modo sempre più insistente. A gettare acqua sul fuoco ci prova il Ministro dei rapporti con le Regioni Francesco Boccia: “Sono sciocchezze“, assicura. A fargli eco è Enzo Amendola, titolare del Ministero per gli Affari Europei, che sottolinea la volontà del Governo – e in particolare del Premier – di scongiurare l’ipotesi di un ritorno al lockdown nazionale, pur non escludendo del tutto l’ipotesi: “Se sarà necessario“, spiega, “ci assumeremo l’onere della scelta“.
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