Bergamo: il titolare del bar perde due zii in un giorno per il Covid ma continua a tenere aperto

Un bar storico ignora i divieti che i Decreti di Palazzo Chigi impongono alle zone rosse. Nonostante le sanzioni, il titolare prosegue con la sua protesta civile.

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Getty Immages/ Kiran Ridley

C’è un bar a Treviglio – Bergamo – che a far prendere il caffè d’asporto ai propri clienti proprio non ci sta. Gli avventori di “Al Solito posto“, storico locale della bergamasca, sanno che ogni mattina possono continuare a consumare la propria colazione comodamente seduti al tavolo. Stessa storia che si ripete all’aperitivo dove il “pirlo” – rivisitazione lombarda dello spritz – si sorseggia seduti. I titolari, Marco Novaria e la moglie Rachele Caironi, dall’1 marzo hanno deciso di comportarsi come se non esistessero le restrizioni della zona rossa. Tuttavia, nonostante il mancato rispetto dei Dpcm di Palazzo Chigi, i proprietari del bar sono molto scrupolosi nell’osservanza delle norme di sicurezza anti Covid: dal distanziamento dei tavoli, all’obbligo d’indossare la mascherina. Il signor Novaria ha spiegato: “La nostra è una protesta civile. Facciamo rispettare la Costituzione italiana e basta. E, sia chiaro, noi non siamo negazionisti del virus. So cosa vuol dire il Covid, la scorsa primavera ho perso due zii in un solo giorno. E qua dentro si rispettano tutte le misure di sicurezza. Da 14 mesi i posti a sedere sono dimezzati, tutti devono indossare la mascherina e c’è il gel disinfettante“.

La Polizia locale ha più volte sanzionato sia il locale sia i suoi affezionati clienti. Soltanto nella giornata di sabato scorso sono piovute ben 10 multe. E un’altra sanzione è arrivata mercoledì per Novaria e consorte. Ogni volta il verbale è accompagnato dalla disposizione di chiusura per 5 giorni che non è stata mai osservata dal locale al punto che, dopo i primi verbali, il comandante della Polizia locale ha invitato i due titolari in comando  spiegando loro a cosa possono andare incontro se proseguiranno con questo modus operandi. A carico della signora Rachele è arrivata anche una denuncia per il mancato rispetto dell’ordinanza del sindaco che imponeva la chiusura: in questo caso si tratta di un reato penale che prevede non solo una multa di 206 euro ma anche la reclusione. Ma, al pari di Marzio Francaviglia, barista ribelle di Mantova che anche dopo una ventina di multe, ha continuato a tenere aperto, anche Marco e la moglie Rachele, per tutta risposta, hanno continuato dritti per la loro strada inviando una diffida  a Polizia locale, Questura e sindaco. “Ormai abbiamo ricevuto una trentina di verbali ma noi  tuteliamo la nostra famiglia e i nostri dipendenti. A lavorare qui siamo in quattro. Portiamo avanti questo locale da 33 anni e vogliamo continuare a farlo. I clienti finora ci sostengono anche se vengono contravvenzionati“- ha proseguito Marco Novaria.

Tuttavia se intervenisse la Prefettura allora la situazione potrebbe mettersi male. Infatti il Dpcm del Governo prevede che in caso di infrazione spetti alla Prefettura  emettere un’ordinanza di chiusura da 5 a 30 giorni. Una misura che, se disattesa, comporterebbe conseguenze più pesanti. Ma – spiega il titolare del bar ribelle – dal primo marzo ad oggi, nonostante tutte le sanzioni e nonostante non sia mai stato osservato l’obbligo di chiudere, la Prefettura non è ancora intervenuta. Nel caso intervenisse – specificano Marco e Rachele – faranno ricorso: “Noi non abbiamo mai servito alcol ai minori, mai avuto spaccio di droga o problemi di ordine pubblico o igiene. Quando deciderà il prefetto faremo le ferie anche se abbiamo già deciso con i legali che faremo ricorso. Con le Forze dell’Ordine siamo sempre molto rispettosi. Loro fanno il loro lavoro e noi andiamo avanti a fare il nostro”.

E dopo Pasqua le Forze dell’Ordine e le Prefetture potrebbero avere un bel da fare. Infatti migliaia di imprenditori del settore ristorativo associati a MIO Italia – Movimento Imprese Ospitalità – hanno già annunciato che a partire dal 6 di aprile riapriranno con il servizio al tavolo tanto a pranzo quanto a cena. Il presidente di MIO, Paolo Bianchini, ha precisato che non si tratta di una protesta: “Non è una provocazione, né un atto dimostrativo, ma una questione di sopravvivenza“.

 

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