Conte ora cerca di salvarsi in 4 giorni. Ma al Senato perde pezzi

Il Premier cerca Senatori che, sostenendolo, possano garantirgli la permanenza a Palazzo Chigi e apre all’ipotesi Conte-ter.

Conte ora apre al ter e cerca di salvarsi in 4 giorni
Giuseppe Conte/Guglielmo Mangiapane, Getty Images

Gli ultimi tentativi di mettere in salvo un Esecutivo e una Maggioranza che, giorno dopo giorno, appaiono sempre più deboli, il Premier Giuseppe Conte vuole giocarseli da qui a mercoledì. Per allora è fissata la relazione del Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, appuntamento che – il Presidente del Consiglio lo sa bene – rappresenta un rischio per l’Esecutivo, dati i numeri esigui raccolti al Senato e l’annunciata contrarietà di Italia Viva. E sa altrettanto bene, l’avvocato, che davanti a numeri non certi, gli alleati gli chiederanno di gettare la spugna, prima di arrivare a una conta dall’esito quasi certamente negativo: dimettersi, prima di essere bocciato dal Senato.

Per sopravvivere, Conte deve riuscire a raccogliere nel giro di poche ora un numero di Senatori sufficiente a costituire quel gruppo di costruttori a Palazzo Madama capace di dargli maggiori margini di manovra. Tuttavia, rispetto alla ridottissima fiducia incassata martedì, il suo Governo per il momento perde pezzi: la Senatrice a vita Liliana Segre non sarà presente, mentre Sandra Lonardo si asterrà, nella migliore delle ipotesi. La quota per la Maggioranza, quindi, si allontana invece di avvicinarsi: 154 sì contro 156 no, ipotizzando che Italia Viva possa votare, in blocco, contro Bonafede.

Un’ipotesi, anche questa, tutta da verificare: i renziani in bilico non mancano: Comincini, Grimant, Marino, Sbrollini tirano il gruppo di coloro che – schiacciati tra le telefonate degli ex colleghi PD e pressati da Renzi – rimangono pieni di dubbi. E rimangono, soprattutto, incerti sull’opportunità di mandare il Governo in minoranza: un conto è astenersi sapendo che l’Esecutivo incasserà una fiducia risicata, altra cosa è votare contro e spingere Conte giù dallo strapiombo. D’altra parte, il timore di essere i primi a fare il passo verso il Governo – rischiando di bruciarsi – è forte. Eppure, secondo Conte, dal loro ritorno in Maggioranza dipenderà anche l’eventuale arrivo di altri “moderati“: in questo caso di tratta dei costruttori di Forza Italia, guidati da Luigi Vitali – a sua volta osservatore interessato ma frenato proprio dalla presenza, al Governo, di Alfonso Bonafede.

Ci sono poi i gruppi vicini a Mara Carfagna e al Governatore ligure Giovanni Toti, che promettono sostegno a Conte solo in cambio di sue dimissioni che aprirebbero la strada ad un terzo mandato per l’avvocato. Che però non si fida e insiste nel corteggiamento rivolto agli indecisi di Italia Viva, a qualche forzista, ai due Senatori Udc Binetti e Saccone. Qualsiasi cosa, pur di avere anche solo quattro Senatori che, aggiungendosi al Maie e a Lonardo, possano costituire in tempi brevi un nuovo gruppo contiano. A quel punto, l’avvocato sarebbe disposto ad aprire al Conte ter, rimanendo irremovibile su un punto: “Non torneremo con Renzi“.

Conte vede quindi solo due strade davanti a sé: la nascita del nuovo gruppo di responsabili – e quindi un Conte ter – oppure la sfida all’Aula, mercoledì, con la probabile sconfitta e le dimissioni. Tornando ad invocare elezioni, convinto di poter diventare il candidato scelto da Movimento 5 Stelle e PD. O, quanto meno, di poter portare con sé – in una sua lista personale – una parte dei grillini, qualora il suo piano non si trasformasse in realtà.

Fin qui la teoria: perché la pratica spesso si dimostra diversa. E allora se si arrivasse alla conta di mercoledì, con il rischio più che concreto di arrivare alla fine dell’esperienza del Governo, le cose potrebbero cambiare ancora. E magari molti responsabili finora titubanti potrebbero decidere di uscire allo scoperto. Perché, in fondo, il voto anticipato fa paura un po’ a tutti.

 

 

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