Diecimila euro dallo Stato italiano grazie alla Protezione Internazionale, ma lavorava

Dovrà restituire più di diecimila euro il migrante che lavorava pur godendo della Protezione internazionale. A quanto pare non è l’unico caso.

Dan Kitwood/Getty Images

Un migrante nigeriano dovrà restituire oltre 10mila euro allo Stato italiano. La lettera gli è arrivata a casa – in provincia di Bergamo – dove il 27enne vive in affitto con la moglie e i tre figli Non si tratta di uno dei tanti furbetti del Reddito di Cittadinanza scovati dalla Guardia di Finanza negli ultimi tempi. Il nigeriano era fuggito dal suo Paese e la commissione territoriale, nel giugno 2019, gli aveva riconosciuto la Protezione Internazionale. Ma la Prefettura di Bergamo, dopo accurate verifiche, ha appurato che il giovane lavorava e percepiva uno stipendio superiore ai 6000 euro all’anno. Cifra limite per avere il diritto di stare in un centro di accoglienza. E il 27enne non è certo l’unico a trovarsi in questa situazione: recentemente il Tar del Friuli Venezia Giulia  ha accolto il ricorso di un migrante la cui situazione era più o meno analoga e ha annullato la richiesta della Prefettura di Pordenone di restituire poco più di 9.000 euro.

 L’avvocato Michele Pizzi di Milano – che segue il nigeriano – ha già annunciato che il giovane non pagherà: «La cifra è abnorme, la richiesta è illegittima e sproporzionata. È calcolata non sulle misure di accoglienza di cui il mio assistito e la sua famiglia hanno realmente usufruito, ma sugli importi corrisposti alla cooperativa che si è occupata della sua accoglienza» – le parole del legale. L’avvocato spiega che i calcoli della Prefettura sono errati. Infatti sono stati calcolati  34,49 euro al giorno per ciascuno dei quattro componenti della famiglia – l’ultimo figlio non era ancora nato quando il 27enne e la moglie sono arrivati in Italia – per due mesi e mezzo. “Una cifra che nemmeno in un hotel di lusso avrebbe pagato” – ha commentato Pizzi. Ma dalla Prefettura hanno ribadito  che è stata applicata la legge, che le cooperative sono state informate e, a loro volta, devono informare i migranti delle regole.

Il decreto legislativo 142 del 2015 prevede che il prefetto revochi l’accoglienza se i mezzi economici del migrante sono sufficienti e, in quel caso, il migrante dovrà rimborsare i costi sostenuti dallo Stato per le misure di accoglienza di cui ha usufruito. Tuttavia la direttiva europea 33 del 2013 usa altri termini: “Qualora emerga che un richiedente disponeva di mezzi sufficienti ad assicurarsi le condizioni materiali di accoglienza e l’assistenza sanitaria all’epoca in cui tali esigenze essenziali sono state soddisfatte, gli Stati membri possono chiedere al richiedente un rimborso“. Su questa base il Tar scrive che chiedere un rimborso cosa ben diversa dal pretendere la restituzione per intero di quanto speso per l’accoglienza.  Pertanto la confusione è molta e riguarda un numero ancora imprecisato di migranti che – di fatto – non sanno se sono tenuti o no a rimborsare lo Stato.

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