Green Pass, dopo 24 ore il Ministero corregge il Ministro: baristi e ristoratori possono sostituire i poliziotti

Il Viminale con una circolare del 10 agosto specifica che oltre al Green Pass ai cittadini può essere chiesto anche un documento di identità in caso di incongruenze 

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Getty images/Giorgio Perottino

Non è passato neanche un giorno da quando il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese aveva dichiarato che ai cittadini non sarebbe stato chiesto di esibire nessun documento oltre al Green Pass per accedere nei locali, che ieri 10 agosto è arrivata la smentita proprio dal Viminale con una circolare. Il Ministro aveva affermato che “i titolari dei locali non possono chiedere la carta di identità ai clienti, ma il controllo del green pass spetta a loro” ma a quanto pare, dopo nemmeno un giorno, le regole cambiano e i titolari diventano controllori.

I cittadini infatti sarebbero tenuti a mostrare il proprio documento di identità ai gestori di locali che lo richiedono, quando ci sono delle incongruenze tra il certificato verde e il suo possessore. Il documento emesso dal Viminale spiega che i suddetti controlli si dividono in due fasi, nella prima l’esercente deve verificare che il cliente sia in possesso del green pass per poter accedere nel locale e che questo sia valido, nella seconda fase invece deve controllare che i dati della certificazione verde siano effettivamente congruenti con i dati della persona che li ha mostrati, qualora ci fossero delle discrepanze, ad esempio nel caso in cui un cliente di 40 anni mostrasse una certificazione di un individuo di 20. Nel caso in cui non ci fosse una corrispondenza allora l’esercente sarebbe autorizzato a richiedere la visione di un documento di identità. Nella circolare è inoltre specificato che la verifica del documento “dovrà in ogni caso essere svolta con modalità che tutelino anche la riservatezza della persona nei confronti di terzi” ed è quindi compito del titolare del locale impegnarsi in tal senso. Nel documento emesso dal Viminale si parla infine delle sanzioni che possono colpire sia l’esercente sia il singolo cittadino che risulti in possesso di una falsa certificazione: la sanzione è a carico dell’esercente nel caso in cui questo risulti responsabile, di fronte ad un controllo di un Ufficiale, di non aver fatto le verifiche necessarie a decretare che il green pass esibitogli fosse valido, mentre sono a carico del cliente quando dalle verifiche del documento risulti palese l’incongruenza “qualora si accerti la non corrispondenza fra il possessore della certificazione verde e l’intestatario della medesima, la sanzione di cui all’art.13 del citato decreto legge n.52/2021 risulterà applicabile nei confronti del suo avventore laddove non siano riscontrabili palesi responsabilità anche a carico dell’esercente” si legge a proposito in una nota. In sintesi la verifica del documento non è obbligatoria da parte del titolare di un locale ma diventa coercitiva per il cliente quando risulta esserci qualcosa che non va tra il certificato e chi lo possiede. Questa scelta nasce anche per dare un taglio alla compravendita di falsi certificati presenti su piattaforme on line come Telegram.

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