Gregoretti, le parole di Conte “Prima i ricollocamenti, dopo lo sbarco”

Una conferenza stampa del Premier Giuseppe Conte potrebbe aiutare la difesa di Salvini nel processo sul caso Gregoretti: “Prima i ricollocamenti, poi lo sbarco”, diceva il Presidente del Consiglio alla fine del 2019, confermando indirettamente la possibilità che la decisione sulla gestione del caso sia stata presa in modo collegiale.

Una prova sulla quale l’avvocato Giulia Bongiorno non ha dubbi: sarà l’elemento chiave per scagionare il suo assistito Matteo Salvini dall’accusa di sequestro di persona per la quale è imputato a Catania. Questo perché l’elemento che la difesa dell’ex Ministro dell’Interno intende presentare ai giudici del Tribunale catanese punta anche ad inchiodare il Premier Giuseppe Conte alle sue responsabilità: aver condiviso con Salvini la decisione di non far sbarcare dalla nave Gregoretti – fino ad un intervento della Commissione europea sui ricollocamenti – i 131 migranti che erano stati soccorsi una settimana prima nel Mediterraneo.

E la prova che Bongiorno considera decisiva la fornisce proprio il Presidente del Consiglio attraverso una conferenza stampa tenuta a palazzo Chigi in cui, alla fine del 2019, affermava di non ricordare di aver preso parte alle decisione sullo sbarco ma ammettendo che la linea del Governo allora in carica prevedeva esattamente questo ordine di priorità, con lo sbarco subordinato ad una decisione sui ricollocamenti a livello continentale. Intanto, oggi Conte non sarà in aula, come era stato previsto, ma prenderà parte all’udienza in collegamento da Palazzo Chigi in una data che verrà concordata nei prossimi giorni.

Il processo a carico di Matteo Salvini, quindi, comincia ad entrare nel vivo, visto che tra gli altri verranno chiamati a testimoniare diversi ex alleati di Governo del leader leghista: dall’allora Ministro dei Trasporti Danilo Toninelli fino alla ex titolare della Difesa Elisabetta Trenta, convocati dal gup Nunzio Sarpietro in seguito all’acquisizione di una serie di documenti relativi a oltre 140 sbarchi condotti da navi di ong, sia sotto il primo Governo Conte che dopo l’avvento della Maggioranza giallo-rossa e l’arrivo al Viminale di Luciana Lamorgese.

Sarpietro ha concentrato la sua attenzione in particolare su sei di questi sbarchi, avvenuti con modalità simili tra loro che prevedevano la permanenza a largo delle navi umanitarie per alcuni giorni, prima che dal Ministero degli Interni arrivasse l’ok all’entrata in porto. Tra questi figura l’episodio che vide coinvolta la Open Arms – e che vede Salvini imputato in un secondo processo – due casi relativi alla Sea Watch 3, oltre ai fatti che coinvolsero la Alan Kurdi e la Ocean Viking – avvenuti, appunto, dopo l’avvicendamento al Viminale, ma per molti versi analoghi a quelli gestiti nei mesi precedenti da Matteo Salvini.

E il fatto che anche il nuovo Esecutivo abbia nella sostanza mantenuto la linea d’azione scelta da quello precedente rappresenta, in realtà, un elemento piuttosto importante secondo la difesa di Matteo Salvini, convinta di ottenere oggi conferme anche dall’intervento in aula di Danilo Toninelli, che nel luglio del 2019 dichiarava alle agenzie di stampa: “Ora la Ue risponda perché la questione migratoria riguarda tutto il continente“, mentre dal suo Ministero filtrava la conferma che l’operato di Salvini stesse avvenendo “in prefetto coordinamento” con il Mit. Di più, in quel periodo, in più di un’occasione Toninelli accusò Salvini di eccessivo protagonismo mediatico, dettato dalla volontà di prendersi “tutti i meriti della diminuzione degli sbarchi“. Meriti che invece, evidentemente, erano secondo l’ex Ministro grillino da condividere.

Diverso invece il caso dell’allora titolare della Difesa Elisabetta Trenta, che sul caso in questione non si è mai espressa pubblicamente, nonostante fosse direttamente coinvolta nel caso, visto che la Gregoretti, nave della Marina militare italiana, si trovava in un’insolita condizione che le imponeva prima di rimanere fuori dai porti del suo stesso Paese e poi ormeggiata senza autorizzazione allo sbarco. Un caso più unico che raro che, tra l’altro, appariva già allora in palese violazione dello stesso decreto sicurezza bis firmato da Matteo Salvini, che prevedeva espressamente l’inapplicabilità a navi militari italiane delle disposizioni mirate a vietare l’ingresso di navi con migranti.

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