Covid, ora il virus è più letale “Di questo passo arriveremo a 900 morti al giorno”

Il dato sulla percentuale di crescita dei contagi da Covid segna, da qualche giorno, un significativo rallentamento. Eppure, secondo l’analista di YouTrend Giovanni Forti, questo non rappresenta necessariamente una buona notizia: da tenere sotto controllo, infatti, sono i preoccupanti numeri sui ricoveri e sui decessi: “Rischiamo 900 morti al giorno”. 

Covid: "Italia rischia 900 morti al giorno"
Getty Images/MICHELE LAPINI

Dopo una lunga fase in cui l’andamento della curva dei contagi è stato caratterizzato da una crescita esponenziale, gli ultimi giorni hanno segnalato un significativo rallentamento nell’incremento di nuovi positivi. Ma la situazione, purtroppo, rimane complicatissima. L’Italia ha raggiunto due giorni fa la spaventosa quota di un milione di contagiati e le informazioni diffuse ieri, 12 novembre, dal Ministero della Salute parlano di 43.589 decessi dall’inizio dell’emergenza. I casi attualmente positivi sono 635.054 , di cui 29.873 in condizioni tali da rendere necessario un ricovero in ospedale con sintomi. Tra questi, sono 3.170 i pazienti costretti in terapia intensiva.

Intervistato da Fanpage, l’analista di Youtrend Giovanni Forti – studente di Economics presso l’Università di Pisa e la Scuola Superiore Sant’Anna – analizza i dati a disposizione, segnalando – tra le poche buone notizie – proprio il rallentamento nel tasso di crescita dei contagi. Un rallentamento che, se da una parte può derivare dalle misure imposte con gli ultimi Dpcm, dall’altra nasconde secondo Forti un grande numero di casi non rilevati: “Quando hai un numero di positivi che è pari al 15-20% dei test eseguiti“, spiega, significa che”ti stai perdendo un sacco di casi“.

Per quel che riguarda il rapporto tra test effettuati e positivi, Forti ritiene che le oscillazioni cui stiamo assistendo – ieri il tasso di positività era 16,2%, in crescita di circa due punti rispetto al giorno precedente – siano normali. Il punto, secondo l’economista, è che già a partire da questa settimana, il conteggio complessivo dei casi “sarà sempre meno importante e sempre meno affidabile“. Più utile, spiega ancora, osservare altri indicatori: su tutti quello relativo al numero di casi gravi. Un dato molto attendibile, dato che difficilmente persone con sintomi particolarmente marcati possano sfuggire – al contrario di quanto può avvenire con positivi asintomatici – al sistema di raccolta di informazioni. L’attenzione, di conseguenza, deve anche essere rivolta all’andamento dei ricoveri – specialmente, ma non esclusivamente in terapia intensiva. Il problema, spiega ancora Forti, “è che questi indicatori seguono l’andamento della pandemia con un certo ritardo“. In media, infatti, i dati sui ricoveri di oggi descrivono quello che era l’andamento dei contagi una settimana fa.

Ed è proprio il dato sui ricoveri a preoccupare l’analista, che sottolinea come il numero di persone ricoverato in area medica abbia recentemente superato il picco che era stato registrato in occasione della prima ondata, ad aprile. Certo, da allora il sistema sanitario ha preso alcune contromisure, ma anche oggi corriamo velocemente verso una condizione di pressione paragonabile a quella della scorsa primavera. Una preoccupazione condivisa anche da Fabrizio Pregliasco, epidemiologo e direttore sanitario dell’istituto Galeazzi di Milano, secondo cui “gli ospedali sono in una fase di affaticamento abbastanza importante“. La situazione, spiega Pregliasco, in questo momento rimane gestibile “solo grazie al grande sforzo degli operatori sanitari“.

Un altro elemento da non sottovalutare, secondo forti, è rappresentato dalla diffusione del virus su tutto il territorio nazionale, che rappresenta probabilmente la peggiore novità della seconda ondata. I contagi, infatti, non riguardano più soltanto nelle aree del nord – che erano invece state colpite in modo quasi esclusivo da marzo in poi e che sono caratterizzate da un buon sistema sanitario – ma tutto il Paese, comprese quelle zone in cui il sistema sanitario rischia di non essere all’altezza degli sforzi richiesti in una fase come questa.

I numeri, intanto, confermano che le aree più esposte a rischi rimangono nella parte settentrionale del Paese, con Bolzano, Piemonte, Val d’Aosta e Lombardia che – registrando un grandissimo numero di nuovi contagi – vedono messi sotto sforzo i sistemi ospedalieri. Una piccola buona notizia è arrivata, nei giorni scorsi, da Milano, dove l’Ats ha reso noto che l’indice di contagio Rt è sceso in maniera sensibile, arrivando ad attestarsi a quota 1,25. Secondo Forti, però, non bisogna lasciarsi andare a facili entusiasmi, dal momento che questo indice misura la probabilità di diffusione del virus, non la sua effettiva pericolosità, che è invece determinata dal numero complessivo di ricoveri e di decessi. “Oggi in Lombardia abbiamo avuto 187 decessi, sui 636 morti a livello nazionale, dopo i 623 di ieri. Era dalla prima metà di aprile che non avevamo tanti morti per Covid-19 in Italia“.

Anche il numero dei morti, tuttavia, sembra accusare un rallentamento nella percentuale di crescita. Sia chiaro: sempre di crescita si tratta. Ma, come spiega l’economista, se una settimana fa il ritmo di incremento dei morti era dell’80%, oggi questa percentuale è scesa di circa dieci punti, arrivando al 70%. A preoccupare è il fatto che il ritmo di incremento dei decessi sia nettamente superiore a quello dei casi: “Di questo passo“, mette in guardai Forti, “la settimana prossima potremmo essere di nuovo attorno ai 919 deceduti in un solo giorno“. Un livello che non si registra dal 27 marzo ma che secondo l’analista potremmo raggiungere presto, data la crescita cui stiamo assistendo.

 

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