Coronavirus 37.978 nuovi casi e 636 morti: “I pazienti in terapia intensiva raddoppieranno entro 7 giorni”

Le previsioni dei medici sulla curva epidemiologica del Covid sono sempre più preoccupanti: serve un altro lockdown nazionale secondo gli esperti.

A preoccupare, ora, è anche l’incremento dei ricoveri, specialmente nelle terapie intensive

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Getty Images/ALAIN JOCARD

I dati del Ministero della Salute in merito alla situazione di oggi ci informano che i casi totali – attualmente positivi, morti e guariti – salgono di 37.978 unità e portano il totale a 1.066.401. Nelle ultime ventiquattro ore 636 morti che portano il numero complessivo delle vittime a 43.589. Da ieri sono stati eseguiti 234.672 tamponi.

I casi attualmente positivi sono 635.054. I dimessi e i guariti salgono a 387.758 registrndo un incremento di 15.645 unità. I ricoverati sono 33.043, +518 mentre nelle terapie intensive 3170 assistiti, +89 rispetto a ieri.

Coronavirus: i ricoveri rischiano di raddoppiare

Mentre oggi altre cinque Regioni si colorano di arancione – Liguria, Abbruzzo, Toscana, Basilicata e Umbria i medici continuano a lanciare i loro appelli affinché il Governo si decida per un secondo lockdown nazionale. Perfino il virologo Giorgio Palù, uno dei più restii alla chiusura totale del Paese poiché – a suo dire – rappresenterebbe un suicidio economico, ha dovuto ammettere che se non c’è altro modo per fermare la risalita dei contagi, allora si dovrà necessariamente optare per un nuovo blocco. Palù ha sottolineato che il fattore più determinante di cui tenere conto è la percentuale di pazienti presenti in terapia intensiva perché i medici, purtroppo, si trovano già costretti a scegliere chi intubare e, quindi, chi salvare. E sulla drammatica situazione delle terapie intensive in Italia interviene anche il dottor Alessandro Vergallo, presidente dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri. Vergallo – intervistato da Fanpage – ha spiegato: “Nell’ultimo mese i ricoveri, compresi quelli in terapia intensiva, sono raddoppiati ogni dieci giorni. Quindi nei prossimi 7 giorni c’è il rischio di un raddoppio del numero dei pazienti, anche di quelli  in terapia intensiva. Gli effetti dell’ultimo Dpcm non si vedranno prima di due settimane”. I tempi del Covid non combaciano con quelli dei decreti del Premier Giuseppe Conte e le misure restrittive potrebbero non essere sufficienti ad invertire il trend che ha preso la curva epidemiologica del virus.

Ragionevole un secondo lockdown

Per questa ragione il medico ritiene più che ragionevole la richiesta di un secondo lockdown nazionale avanzata dalla Federazione nazionale degli Ordini dei Medici. Spiega che non ha senso pensare di risolvere il problema semplicemente aumentando i posti letto nei reparti di rianimazione perché l’aumento dei ricoveri renderà inefficace questa misura e si dovrebbe intervenire di continuo. Inoltre – specifica l’esperto – è fondamentale tenere in considerazione non solo del numero dei contagi e l’incidenza del virus ogni 100 mila abitanti ma anche della capacità di reggere dei singoli sistemi sanitari di ciascuna Regione. E – d’accordo con le posizioni del virologo Walter Ricciardi, consulente del Ministro della Salute Roberto Speranza, il quale ha puntualizzato che Napoli andava chiusa – ritiene che, intersecando questi fattori, la Campania sia uno dei territori più a rischio al momento, nonostante sia rimasta una Regione gialla. Precisa, inoltre, che il Governo non ha reso noti i 21 criteri in base ai quali una Regione è stata inserita in fascia gialla, arancione o rossa e, pertanto, anche per gli esperti diventa più difficile esprimere valutazioni.

Tra i  fattori che, secondo il dottor Vegallo, hanno inciso maggiormente su questa rapida ricaduta degli ospedali sicuramente la perdita di consapevolezza della popolazione che – a partire da giugno – ha iniziato a sentirsi troppo al sicuro: “Non hanno contribuito favorevolmente tutte le dichiarazioni, provenienti anche dal mondo scientifico o presunto tale, che hanno a più riprese dichiarato che il pericolo era cessato“. Il riferimento al professor Alberto Zangrillo – sostenitore della tesi “Il virus è clinicamente morto“- primario delle Terapie Intensive del San Raffaele di Milano, è sottointeso ma perfettamente percepibile. Ma secondo Vergallo non ha funzionato anche l’aver perso mesi preziosi la scorsa estate e, soprattutto, lo scarso coinvolgimento della medicina territoriale nella lotta anti Covid che contribuisce a mandare in tilt a stretto giro ospedali e pronto soccorso: “E’ evidente che se la cittadinanza non ha un interlocutore di riferimento che non sia l’ospedale, l’unica strada rimane il pronto soccorso“.

 

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