Mancata zona rossa in Val Seriana, il premier Conte: “E’ stata mia la decisione di non chiudere”

Il Premier Giuseppe Conte, ascoltato dal Pm di Bergamo sulla questione della mancata zona rossa in Val Seriana,  si è assunto la responsabilità della decisione. 

Conte risponde alla domande dei Pm di Bergamo: "La responsabilità della mancata zona rossa di Alzano e Nembro è solo mia" - Leggilo.org

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte – insieme al Ministro della Salute Roberto Speranza e al Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese – è stato ascoltato in audizione come testimone nell’ambito dell’inchiesta sulla mancata zona rossa nei Comuni di Alzano Lombardo e Nembro.  In oltre 4 ore di informativa, il Premier ha ricostruito le vicende che vanno dal 26 febbraio al 7 marzo, ovvero dalla conferma del focolaio nei Comuni, all’istituzione della zona arancione in Lombardia.

Come spiega Open, dinanzi al Pm, Conte si è assunto la responsabilità della scelta, pur confermando che la Regione, se avesse voluto, avrebbe potuto in maniera autonoma istituire la zona rossa. Ha spiegato il Premier: “Posto che la Regione avrebbe potuto agire diversamente, l’ultima parola sulla scelta di non istituire una zona rossa Alzano e Nembro è stata mia e di nessun altro. Me ne assumo ogni responsabilità”. Secondo il Capo del Governo, in quei giorni, è stata la decisione migliore da prendere, anche se pochi giorni prima, con un numero minori di infetti, si era deciso di istituire una zona rossa nel lodigiano e a Vo’Euganeo.

Un aspetto molto importante da chiarire al fine dell’inchiesta è la presenza dei militari in Val Seriana la sera del 5 marzo. Quasi 400 uomini tra militari, poliziotti, finanzieri e carabinieri, hanno pernottato negli hotel della zona, pronti l’indomani mattina a circondare i due Comuni. Ma l’ordine non arrivò mai. Conte ha spiegato: “Dal punto di vista geografico abbiamo verificato che isolarli dai Paesi circostanti sarebbe stato particolarmente difficile, quasi impossibile. In quell’area tra paese e paese non c’è soluzione di continuità”. Una motivazione, confermata dal Ministro Lamorgese competente sul dislocamento delle forze, che ha lasciato più di qualche perplessità. E’ vero che i comuni di quell’area sono uniti tra di loro, ma i protocolli applicati nelle settimane successive hanno dimostrato che, tali difficoltà, possono essere superate dai posti di blocco alle strade principali di accesso. Oppure, come chiesero allora i cittadini della Valle, con l’istituzione di una zona rossa più grande che comprendesse tutti i Comuni – anche i meno colpiti ma confinati con Alzano e Nembro – per un periodo idoneo.

Tanti i filoni che si diramano dall’indagine principale condotta dal procuratore Maria Cristina Rota. Il 26 maggio scorso sono stati ascoltati il Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e l’Assessore al Welfare Giulio Gallera sia sulla mancata zona rossa sia sulla delibera che ha permesso lo spostamento dei pazienti che affrontavano la degenza post Covid – ma ancora positivi – nelle Rsa della Regione. L’inchiesta è ampia e molti sono i protagonisti: dal Presidente dell’Istituto Superiore della Sanità, Silvio Brusaferro, che ha confermato come il Comitato Tecnico-Scientifico avesse, già il 3 marzo consigliato l’istituzione della zona rossa nei Comuni bergamaschi, alla Confindustria di Bergamo sospettata di aver fatto pressioni sulla Regione per evitare la chiusura totale. Al centro dell’inchiesta resta l’Ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo e le comunicazioni partite da questa struttura alla Regione, e dagli uffici del Pirellone alla Protezione Civile.

Già il 28 febbraio l’ospedale aveva denunciato la carenza di un’ala della struttura in cui ospitare tutti i malati che si presentavano con  gravi polmoniti. I pazienti venivano adagiati nelle corsie, nessun filtro era stato applicato nel Pronto Soccorso, mentre alcuni pazienti positivi vennero spostati dove erano ricoverati altri pazienti affetti da patologie gravi. Una situazione devastante che ha permesso al virus di dilagare tra i pazienti e i sanitari, e tra questi e i parenti. Il 3 marzo fu appurata l’esplosione del focolaio, ma sino al 7 nessuno si mosse. E mentre i familiari delle vittime Covid hanno depositato le prime denunce per appurare le responsabilità delle morti lombarde, l’inchiesta preoccupa sia Palazzo Chigi che Milano.

 

Fonte: Open, Fanpage

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