I colossi stranieri dell’acciaio vogliono andarsene: Governo con le spalle al muro

I due colossi del settore dell’acciaio hanno avviato un piano di ricollocamento sul mercato dei siti di Taranto e Terni. Convocati tavoli d’urgenza al Ministero dello Sviluppo Economico. Il Governo italiano rischia di pagare a caro prezzo la mancanza di piani industriali a lungo termine. 

colossi stranieri acciaio minacciano fuga

Mentre il Paese cerca di riprendere la sua normalità e prova, a piccoli passi, ad uscire dal torpore del lockdown, in questi giorni la realtà industriale dà un primo assaggio di ciò che potrebbe essere la crisi economica che ci attende all’orizzonte in autunno. Le grandi aziende estere provano a lasciare i siti italiani, cercando di non ottemperare – con la motivazione addotta della crisi provocata dalla pandemia da Covid-19 – ai patti siglati meno di 12 mesi fa. Le notizie peggiori arrivano da Taranto, Novi Ligure e da Terni, dove ArcelorMittal e Thyssenkrupp hanno già comunicato di essere al lavoro per la vendita o la chiusura delle acciaierie. Come spiega HuffingtonPost, la protesta negli stabilimenti di Taranto è già partita: lunedì c’è stata la prima manifestazione, che riprenderà venerdì sotto il palazzo della Prefettura. Il colosso franco-indiano vuole stralciare l’accordo raggiunto lo scorso 4 marzo con il Governo dopo mesi di trattative, richieste di scudi penali e minacce legali di ogni sorta.

L’accordo, che non è ancora stato attuato, prevede un piano industriale sino al 2025: ingresso nell’azienda di capitali pubblici e privati, produzione di 8 milioni di tonnellate d’acciaio all’anno, rifacimento dell’altoforno 5 e costruzione di un nuovo forno elettrico. Oltre agli  impegni per l’abbattimento dell’impatto ambientale sulla città, compresa la riduzione della produzione di carbone del 30%. Ma era stato rimandato al 31 maggio l’argomento più scottante – insieme alla firma finale del piano- : la richiesta dell’ArcelorMittal di 5mila esuberi che fu rifiutata dal Ministro Stefano Patuanelli. Ma da marzo ad oggi il mondo è cambiato: la pandemia da Covid-19 ha costretto le aziende ad adottare i protocolli di sicurezza.  L’azienda ha richiesto la cassa integrazione per mille dipendenti che, aggiunti ai 4mila di inizio anno, formano la cifra tonda delle richieste del colosso. Un punto, quello sui rientri in fabbrica dei cassaintegrati lasciato aperto e che ha sempre preoccupato i sindacati.

ArcelorMittal sta valutando seriamente di abbandonare il sito italiano, ma con una doppia beffa: non sarebbe costretta a pagare la penale di 500 milioni. A rischio ci sono 10.700 dipendenti, compreso tutto l’indotto. Un piano del Governo adesso non c’è e la crisi di liquidità provocata dagli interventi per la gestione della pandemia, impediscono un progetto di rilancio. Non solo: il “Decreto Rilancio“, nel caso specifico l’intervento del Fondo della Cassa Depositi e Prestiti, impedisce allo Stato il soccorso alle aziende decotte da tempo, prima dell’arrivo della pandemia. Alla minaccia dell’azienda franco-tedesca, che ha definito l’accordo di marzo “cartastraccia”, non è possibile contrapporre nessuna risposta. Il motivo è la mancanza di un piano B che il Governo del Premier Giuseppe Conte non ha mai messo in campo, dimostrando una scarsa visione industriale che potrebbe portare alla fuga definitiva dall’Italia dell’ArcelorMittal.

Thyssenkrupp minaccia di vendere il sito Ast di Terni

Anche il colosso tedesco sta tentando di liberarsi del suo più grande sito in Italia. La Thyssenkrupp – riporta Il Sole 24 Ore – sul proprio sito ufficiale, ha pubblicato un comunicato in cui informa di essere alla ricerca di partners. In alternativa,  se la ricerca dovesse non produrre i frutti sperati, l’intenzione di vendere il sito. E il motivo è presto detto: sovracapacità strutturale del sito. Una posizione comunicata anche dall’Amministratore Delegato dell’Ast di Terni, Massimiliano Burelli, che, in una lettera inviata a tutti i lavoratori, ha scritto: “Per Ast, al momento abbiamo una sola certezza, verranno valutate tutte le opzioni capaci di garantire crescita e sviluppo a un’azienda come la nostra”. Atto in aperto contrasto con gli accordi raggiunti nel 2014 e al “Piano Industriale 2019/2020”, in cui l’azienda si è impegnata ad investire 60 milioni di euro senza diminuire la capacità occupazionale del sito.

In una nota congiunta a firma di Fim, Fiom, Uilm, Fismic, Ugl e Usb, i sindacati hanno espresso la loro preoccupazione sull’annuncio della casa madre tedesca che ha parlato di pericoli per i siti industriali. Ma le recenti notizie che arrivano dalla Germania non sono incoraggianti. La Thyssenkrupp ha infatti recentemente approvato un protocollo di massima denominato “Patto per l’acciaio ’20/’30” che prevede il taglio di 3mila posti di lavoro, ottimizzazione della rete di produzione e investimenti aggiuntivi per 800 milioni di euro per i prossimi sei anni nel settore “Materials Services e Componenti Industriali”. Posizioni che lasciano intendere la volontà dell’azienda di lasciare il sito di Terni al suo destino.

 

Fonte: HuffingtonPost, Il Sole 24 Ore

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