Il numero degli italiani non vuole restare in Europa aumenta. Si torna a parlare di Italexit

L’egoismo degli altri Paesi membri, dinanzi all’emergenza sanitaria, riaccende il dibattito in Italia: parlare di uscita dall’euro è ancora un tabù? E converrebbe al nostro Paese in nome del riacquisto della sovranità monetaria?

ursula von der leyen euro italia - Leggilo

La crisi economica, l’indifferenza di Bruxelles, i diktat sull’austerity: in Italia riprende con forza la discussione su una possibile Italexit. Negli ultimi anni, le rigide regole sulla flessibilità e un’Europa germanocentrica hanno alimentato un forte sentimento anti-euro, cresciuto a dismisura nelle ultime settimane, durante l’emergenza sanitaria. Ed è aumentato il profondo malcontento anche in quell’area del Paese che nell’Europa ha sempre creduto, ma a cui questa UE che manca di solidarietà e di sviluppo condiviso, non piace più.

Come scrive Il Giornale, in un sondaggio pubblicato da Tecnò Poll, si evince che gli italiani che oggi voterebbero per rimanere nell’UE sarebbero il 51% contro il 49% che vorrebbe uscire. Nel 2018, quando il Governo era sostenuto da una Maggioranza, quella composta dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle guidata da Giuseppe Conte, i contrari all’uscita dalla zona UE erano oltre il 70%. Ma cosa comporterebbe un’eventuale uscita? Se le trattative per la costituzione di un debito comune mutualizzato dovessero fallire, nella prossima riunione dei Capi di Stato dei 27 membri, nel Paese crescerebbero malumori verso Bruxelles, riportando al centro del dibattito politico una possibile Italexit. Ad inasprire ancor di più i malumori, il dibattito sul Meccanismo Europeo di Stabilità.

Germania e Olanda spingono per un Mes senza strumenti di debito comune, posizione rigida che mette il nostro Paese, ma anche Spagna e Portogallo, in grande difficoltà. Nelle prime settimane di marzo, quando l’epidemia è scoppiata in tutta la sua ferocia in Lombardia, l’Italia ha già sperimentato sulla propria pelle l’autoisolamento a cui è stata costretta da Bruxelles. L’uscita infelice di Lagarde – “Non è compito della Bce abbassare lo spread” – indignarono anche alcuni tra gli europeisti convinti, come il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che invitò l’Europa ad aiutare e non ostacolare. Qualche settimana dopo, il Presidente della Commissione Ue Urusula Von der Leyen,sembrò non volerne sapere dei problemi di Roma.

Ma cosa potrebbe accadere se l’Italia uscisse dall’Euro?

Come ha spiegato Wolfang Munchau sul Financial Times, l’Ue sta sottovalutando il problema italiano: il nostro Paese va aiutato, poiché l’eventualità di un default spinge verso decisioni drastiche. Se non dovessero arrivare le conclusioni sperate durante la riunione attualmente in corso, scrive l’autorevole firma del quotidiano britannico, l’Italia, visto l’aumento esponenziale del deficit/Pil e un aumento del debito pubblico, potrebbe iniziare seriamente a pensare ad una via di fuga: “Un’uscita dall’Euro non è probabile, ma il Mes non gode di una Maggioranza in Parlamento. Il sentimento anti europeo potrebbe continuare dopo le riaperture”. Insomma, sembra chiaro a tutti, forse meno alla Germania ed ai falchi del Nord, che l’Italia è una polveriera.

Ma quali sono i problemi a cui andrebbe incontro il Paese? Come spiega l’economista e Professore di Scienze Economiche dell’Università di Bologna, Paolo Manasse, le conseguenze sarebbero disastrose. A Linkiesta, Manasse, traccia futuri inquietanti: “L’uscita causerebbe in ogni caso una svalutazione della nuova (o vecchia) moneta del 20-30%. Consumatori e imprese vedrebbero un incremento dei prezzi dei beni importati, mentre i vantaggi di cui godrebbe l’export sarebbero transitori e limitati”. La perdita della credibilità agli occhi degli investitori internazionali farebbe il resto. Ma i problemi comincerebbero ben prima, come ha insegnato l’esperienza greca: quando il Paese ellenico, nel luglio del 2015, era sull’orlo del baratro, e sembrava imminente l’uscita dall’euro, i cittadini greci corsero a ritirare i propri depositi e a vendere i titoli greci. Qui potrebbe accadere la stessa cosa, con una corsa agli sportelli, costringendo lo Stato alle limitazioni dei prelievi.

L’aumento dei prezzi dei beni di importazione, unita alle limitazioni dell’accesso ai principali mercati oltreconfine, limiterebbero fortemente la potenza dell’industria del nostro Paese. Ne uscirebbe limitato anche il turismo, per effetto delle chiusure delle frontiere e per i cambi. I più colpiti dall’inflazione della nuova moneta si riverserebbero su pensionati, lavoratori dipendenti e cittadini a basso reddito, che finirebbero schiacciati dalle imposte sul reddito sulle patrimoniale sui risparmi che si renderebbero necessarie per perdita del potere d’acquisto degli stipendi e delle pensioni. La stessa Banca d’Italia, che dovrà poi stampare la nuova moneta, si ritroverebbe esclusa dal grande circuito delle Banche europee. Come aggiunge Il Sole 24 Ore, che cita uno studio dell’Università Bocconi di Milano, inoltre potrebbe avvenire qualcosa di paradossale: l’Italia potrebbe uscire dall’Euro per sottrarsi all’austerity, ma per accontentare i mercati finanziari per rifinanziare il debito potrebbe essere costretta a tagli su larga scala.

Al contrario l’economista Giancarlo Marcotti, responsabile di “Finanza in Chiaro”, sostiene che la Germania sia pronta ad abbandonare l’Euro, e i Paesi membri, pur di non arrivare al rafforzamento dell’UE: “L’Italia ha un grosso debito pubblico alto ma il risparmio privato è alto. Ci stiamo mangiando il nostro risparmio, siamo rimasti buoni per questo”. E ancora: “Se la Germania dovesse abbandonare l’euro, allora ricomincerebbe la battaglia tra lira e marco tedesco. La nostra economia ripartirebbe a razzo, guadagneremmo un 30% di competitività in un secondo. Le nostre aziende volerebbero, sarebbe una cosa straordinaria”.

In corso il vertice UE

La battaglia in queste ore sui tavoli di Bruxelles vale il destino dell’UE: non ha senso continuare con l’ostruzionismo dei tedeschi. Marcello Minenna, economista e Direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ha parlato dell’Euro come di un progetto incompiuto, che, qualora non dovesse essere portato finalmente a compimento, non avrebbe nessun altro futuro che l’implosione. Il Presidente della Commissione Bilancio della Camera, Claudio Borghi, economista e docente presso l’Università Luiss, guida da qualche anno la frangia anti-euro della Lega. Come ha spiegato qualche tempo fa a Il Giornale, sul piatto c’è la sovranità monetaria e finanziaria. Un gioco che vala la candela? Per Borghi, l’ostruzionismo che l’Italia teme dagli Paesi che rimarrebbero nell’Ue non ha senso: all’interno della zona Euro ciò avviene già, con le richieste di flessibilità e i tagli al Sistema Welfare. Ma il sentimento anti-Euro non è certo visibile soltanto in Italia: il Regno Unito ha mostrato che la sfida all’UE non è certo un tabù, e ciò potrebbe avvenire anche nel caso Euro. I partiti, detti appunto, sovranisti spingono in tutta Europa per una riformulazione dell’Unione: se così non fosse, sarebbe giusto tornare alla situazione pre-moneta unica. Molto ci dirà, in tal senso, le risposte che saprà dare l’Europa agli Stati che combattono la pandemia da Covid-19. Se le trattative dovessero fallire, la disgregazione dell’Euro sarebbe molto più di una semplice sfida lanciata dai partiti sovranisti: potrebbe divenire l’unica via d’uscita per sottrarsi alle corde dell’austerità.

 

Fonte: Financial Times, Il Giornale, Il Sole 24 Ore, Linkiesta

 

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