Torino, costretta a lavorare al nono mese di gravidanza: 36enne si suicida

Non poteva fermarsi dal lavoro nemmeno al nono mese di gravidanza. Una commercialista di Torino si è gettata dalla finestra.

In Italia la questione della maternità rappresenta ancora un problema enorme e sempre più donne si trovano costrette a scegliere tra lavoro e famiglia. Una 36enne di Torino non ce l’ha fatta e si è tolta la vita al nono mese di gravidanza.

ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO/ARCHIVIO

 

La donna lavorava come commercialista in un rinomato studio del capoluogo piemontese. Era al telefono con una collega sempre per parlare di lavoro, delle scadenze dei clienti, delle mille pratiche da smaltire per non incorrere in penali. Ad un certo punto dall’altro capo del telefono il silenzio: la 36enne aveva aperto la finestra e si era buttata di sotto. Inutili i soccorsi. La storia di questa donna ha smosso qualcosa, portando a galla il caso limite delle “mamme commercialiste”, donne che si trovano nella sfortunata condizione di dover partorire proprio mentre si avvicinano le scadenze del Fisco.

Da quel giorno, Fiscal Focus ha cercato di sensibilizzare la politica sul “grido di aiuto” di chi è quasi costretta a partorire in ufficio. Tra le tante professioniste che si trovano in questa situazione c’è Chiara che ha raccontato la sua storia: “Ho lavorato fino al giorno prima del parto senza alcun problema. La piccola ha deciso di nascere con un po’ di anticipo, il 16 del mese, e durante la corsa notturna in ospedale la prima cosa che ho fatto è stato avvertire la collega e ricordarle tutte le scadenze del giorno”. La situazione delle commercialiste è molto diversa da quella delle altre lavoratrici dipendenti perché, maternità o no, le scadenze fiscali restano: se si salta una scadenza, il cliente è nei guai e il commercialista pure e, talvolta, deve pure pagare. Un’altra professionista del settore ha spiegato che le si sono rotte le acque mentre era in studio e, nonostante ciò, ha dovuto terminare tutte le pratiche prima di poter correre in ospedale per partorire.

La politica è stata sorda e cieca per tanto tempo fino a ché una paziente oncologica – Giorgia – è stata costretta a lavorare attaccata ad una flebo finché il cancro l’ha uccisa. La poverina ha dovuto lavorare fino al giorno del suo decesso, senza sosta. A quel punto il Parlamento ha approvato un emendamento alla legge di Bilancio per tutelare la malattia dei professionisti. Resta però ancora scoperto il buco della gravidanza. Recentemente sono stati depositati tre emendamenti al decreto Semplificazioni da parte di LegaFratelli d’Italia e Azione. L’obiettivo è quello di garantire che – in caso di inadempienza di un obbligo verso la pubblica amministrazione – nelle 14 settimane pre e nelle 14 settimane post parto nessuna responsabilità possa essere imputata alla professionista o al suo cliente.  Già perché il Fisco colpisce tutte le donne incinte, indistintamente, non solo le commercialiste ma anche chi, in preda alle foglie del parto, ha dimenticato una scadenza. È successo a Lara: “Mentre ero in ospedale con le contrazioni  mi ha chiamato l’Agenzia delle entrate: ‘Dottoressa non si è presentata al contraddittorio’. Ovviamente non l’hanno rimandato”.

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