Non troviamo personale ma è colpa nostra: non possiamo chiedere ai camerieri di lavorare 16 ore al giorno, dicono due chef

Due chef esprimono un parere diverso da quello di molti colleghi. A loro dire se si fatica a reperire personale la colpa non è sempre solo dei giovani che non vogliono lavorare.

Sono settimane che diversi chef lamentano di fare fatica a trovare personale di cucina e di sala. Da Alessandro Borghese, a Giancarlo Perbellini fino a Pino Cuttaia senza dimenticare il manager Flavio Briatore. A detta loro i giovani di oggi hanno poca voglia di lavorare e preferiscono avere i fine settimana liberi per divertirsi. L’ultimo in ordine cronologico ad aver lamentato la difficoltà a trovare camerieri è stato Filippo La Mantia che ha da poco aperto il suo nuovo ristorante all’interno del Mercato Centrale a Milano. La Mantia ha dichiarato di offrire uno stipendio base di 1400 euro al mese ma, nonostante ciò, i giovani non ne vogliono sapere di andare a lavorare da lui.

ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI/ARCHIVIO

Due chef, di contro, hanno preso parte ad un incontro sulla ristorazione tenutosi ad Alba, in Piemonte e hanno espresso un parere molto distante dai loro colleghi sopracitati.  Anthony Genovese – chef del Ristorante Il Pagliaccio a Roma – e Paolo Griffa – executive chef presso Il Grand hotel Royal & Golf di Courmayeur – hanno dichiarato che se si fa fatica a trovare cuochi e personali la colpa è anche degli chef che pretendono cose impossibili. “Bisogna attirare i giovani in modo diverso e considerare che la ristorazione ha avuto una evoluzione velocissima negli ultimi dieci anni, veniamo da turni di lavoro di 16 o 17 ore al giorno che ora non sono più sostenibili” – le parole di Genovese a cui fa eco Griffa:  “È cambiata la consapevolezza  e dobbiamo riuscire a garantire un tenore di vita normale a chi sta in cucina, per poter avere anche una vita privata”.

Le nuove generazioni, specialmente dopo aver affrontato la pandemia di Covid magari vedendo morire all’improvviso parenti o amici e dopo aver subito due anni di restrizioni, hanno rivisto la lista delle priorità. Se un tempo il posto fisso era l’obiettivo primario, ora la qualità della vita e poter trascorrere tempo con i propri affetti sono diventati più importanti. Genovese e Griffa concordano anche su un altro aspetto: pur mantenendo una gerarchia, è tuttavia indispensabile fare squadra. Cucina e sala devono collaborare in vista di un unico obiettivo: soddisfare il cliente. Paolo Griffa ha puntualizzato:  “La parte più sfidante del nostro mestiere, nel tenere insieme sala e cucina, è riuscire a dare un’identità precisa al ristorante, di conseguenza costruire un team con la stessa visione e gli stessi obiettivi”. Una lettura molto distante da quella di qualche anno fa quando – come ricorda chef Genovese – lo chef patron aveva la tendenza a “schiacciare la sala” mentre oggi deve esserci  una collaborazione paritaria. Infatti i due ammettono che anche al di fuori dall’ambiente lavorativo frequentano i propri collaboratori e questo ha avuto ripercussioni positive anche sul lavoro.

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