Pamela Mastropietro, uccisa e fatta a pezzi ma prima era consenziente, dicono i giudici

Niente ergastolo neanche questa volta per l’assassino della 18enne Pamela Mastropietro. Secondo rinvio a giudizio per il 33enne Innocent Oseghale.

Ansa

Sono 4 anni che aspetto giustizia. Ammazzano, violentano e fanno a pezzi, ma lo Stato italiano non fa nulla” – queste le parole urlate tra le lacrime di  Alessandra Verni, madre di Pamela Mastropietro. La donna era presente in Cassazione per attendere la sentenza di condanna dell’uomo che ha ucciso la sua bambina. Sentenza che l’ha lasciata profondamente delusa e amareggiata. Pamela Mastropietro, nel 2018 – a soli 18 anni – è stata violentata, uccisa e fatta a pezzi. Il colpevole sarebbe il pusher 33enne Innocent Oseghale. La ragazza era fuggita da un centro di recupero dove stava cercando di superare i suoi problemi di tossicodipendenza. Tornata a Roma, aveva incontrato  Oseghale che l’aveva convinta a salire nel suo appartamento in cambio di una dose di droga. Qui si è consumata la violenza sessuale e poi, secondo i giudici, l’omicidio e il conseguente vilipendio sul cadavere. Ma per il 33enne niente ergastolo: i giudici hanno disposto il secondo rinvio a giudizio. Oseghale è stato, infetti, ritenuto colpevole di omicidio ma non di  violenza sessuale.

La prima sezione penale della Cassazione ha parzialmente accolto il ricorso presentato dalla difesa contro la sentenza della Corte d’assise d’appello di Ancona che nel 2020 aveva confermato l’ergastolo per l’imputato. Sulla violenza sessuale, quindi, vi sarà un processo d’appello bis. Il 33enne aveva fatto a pezzi il corpo della 18enne, occultandolo poi in alcuni trolley. L’uomo ha sempre detto di essere innocente, sostenendo di aver fatto a pezzi il corpo ma di non aver mai ucciso la ragazza. La sua tesi, rivelatasi poi infondata in seguito ad accertamenti, è sempre stata che Pamela sia morta di overdose.  Con il pusher furono arrestate altre 3 persone poi scagionate dall’accusa di omicidio. Ma secondo la mamma della vittima, il 33enne non poteva essere da solo quando Pamela è stata uccisa: un delitto simile – secondo la famiglia della ragazza – non può essere stato compiuto da una sola persona. Il legale che assiste la famiglia di Pamela, l’avvocato Marco Valerio Verni, dopo la sentenza, si è espresso: “Confidavamo in una conferma della sentenza, ma non è stata riconosciuta la violenza sessuale. Certo è che Pamela è stata uccisa e non è morta di overdose. Sulla violenza sessuale ci sarà un ricalcolo della pena e si dovrà svolgere un appello bis. La Procura di Macerata fin dal primo grado non si è focalizzata sulla patologia psichiatrica di Pamela. Se fosse stata approfondita, probabilmente anche la violenza sessuale sarebbe stata blindata fino in Cassazione. La madre è molto delusa, la famiglia si aspettava la conferma della condanna massima”.

 

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