L’Italia di Conte: 50 posti di lavoro persi ogni ora nell’ultimo anno

I dati pubblicati dall’Istat sull’occupazione in Italia restituiscono un quadro drammatico, che risulta per giunta affievolito dal blocco dei licenziamenti ancora in corso. 

A dicembre bruciati 101 mila posti di lavoro
Giuseppe Conte/Yara Nardi, Getty Images

Un’emergenza senza fine. E che anzi, invece di avvicinarsi alla sua conclusione, sembra diventare giorno dopo giorno più intensa. La crisi del Coronavirus in Italia non sta causando conseguenze pesantissime soltanto sul piano sanitario, ma anche su quello economico. A testimoniarlo sono i dati sull’occupazione nel nostro Paese, resi noti nei giorni scorsi dall’Istat, che oltre ad evidenziare una situazione drammatica – edulcorata, oltre tutto, dagli effetti del blocco dei licenziamenti – sottolineano ancora una volta come nel mondo del lavoro lo squilibrio tra uomini e donne sia ancora molto ampio.

E così se nell’ultimo anno l’Italia ha mantenuto, complice il lockdown primaverile, la non invidiabile media di 50 posti di lavoro persi ogni ora – per un totale di 440 mila – 312.000 donne e 132.000 uomini – i dati relativi al solo mese di dicembre 2020 sono addirittura peggiori: gli effetti delle restrizioni più severe imposte in vista delle festività natalizie, con l’Italia divisa per gran parte del mese tra zone arancioni e zone rosse, hanno comportato una perdita di 101 mila posti di lavoro. Tra questi, 99 mila erano occupati da donne, mentre appena 2 mila da uomini.

Insomma, in un contesto economico già complesso – e caratterizzato da un mercato del lavoro non sufficientemente dinamico, soprattutto per quel che riguarda l’ingresso dei più giovani – la pandemia si dimostra un potentissimo acceleratore di dinamiche – negative – già proprie del nostro sistema. A farne le spese sono, in linea con una tendenza già precedente all’era Covid, i più deboli: giovani, precari, autonomi e – anche se sembra assurdo dirlo, nel 2021 – donne. La crisi pandemica, sostanzialmente, non ha fatto altro che accentuare la forbice tra chi aveva più possibilità – e maggiore ricchezza – e chi invece si trova in difficoltà crescenti. Anche questa una tendenza ampiamente consolidata nel sistema socio-economico nazionale, ma resa ancor più potente e rapida dalla pandemia.

C’è poi la questione della differenza di genere nel mondo del lavoro, anch’essa sedimentata nel sistema italiano e resa più eclatante che mai dalla crisi in corso, è inquietante: nel nostro Paese esiste un già marcato gap nella percentuale di occupazione e nei livelli retributivi tra uomini e donne, oltre che nelle progressioni di carriera. Ora, a questo quadro già sconcertante di per sé, si aggiungono numeri che evidenziano come la stragrande maggioranza dei posti di lavoro bruciati negli ultimi 12 mesi appartenessero a donne.

L’altra categoria particolarmente danneggiata è quella degli under 25. D’altra parte anche la disoccupazione giovanile non è certamente una novità, nel nostro mercato del lavoro: tra i più giovani, il tasso di disoccupati arriva al 29,7% e nella fascia di età tra i 15 ed i 24 anni sono stati bruciati 167 mila posti, pari al 13,4% degli occupati. Dati allarmanti, che certificano che in Italia i giovani ad avere un lavoro decente – già pochi prima della pandemia – sono sempre meno: gli inattivi sono in forte crescita e, tra i pochi giovani che lavoravano, ben uno su sette ha perso il posto. Un vero e proprio scontro generazionale, se è vero che sul fronte opposto, a fare da contraltare a questi dati, ci sono invece gli over 50, tutelati dalle garanzie di contratti stabili ed addirittura aumentati di 197 mila unità nell’annus horribilis del mondo del lavoro italiano.

 

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