Conte decide tutto da solo, il PD è stanco “Sta prevalendo una logica di puro potere”

Si inasprisce il clima all’interno della Maggioranza, con Pd e Movimento 5 Stelle preoccupati dal crescente decisionismo del Premier Giuseppe Conte, che sempre più di frequente arriva a prendere decisioni in accordo con una ristretta squadra di fedelissimi. Una sorta di Governo ombra che non piace alla Maggioranza. Sullo sfondo, la minaccia di un rimpasto. 

Conte decide con il Governo Ombra, ira Pd e 5 Stelle
Giuseppe Conte/Facebook Palazzo Chigi

Cresce la tensione all’interno della Maggioranza. Proprio mentre le forze di Governo si avvicinano alla resa dei conti sul Mes, con il passaggio parlamentare che, tra meno di due settimane, imporrà all’Esecutivo una presa di posizione definitiva dopo mesi di melina, dal Partito Democratico iniziano a filtrare segni, sempre meno nascosti, di malcontento. Di insoddisfazione. In particolare, dagli ambienti del Nazareno, si fa trapelare una certa preoccupazione legata agli atteggiamenti del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte: “Quando sulla politica si fa prevalere una logica di puro potere, per una torsione inconsapevole, di solito significa che comincia la fine“, dicono chiaro e tondo voci interne ai dem.

I rapporti tra il Premier ed il segretario PD Nicola Zingaretti sembrano essersi incrinati, se  è vero che i due non si incontrano da più di una settimana. Ma a preoccupare i democratici, ancora più delle mancate occasioni di confronto, è il modo in cui, da qualche tempo, Conte avrebbe affrontato la gestione dell’emergenza: un approccio sempre più individualistico e sempre meno attento alle istanze ed ai suggerimenti della Maggioranza, rafforzato dal sostegno e dalla fiducia che arrivano dal Quirinale nei confronti del Premier. L’impressione, tra le file PD, è che Conte lavori, più che altro, al fine di scongiurare il rischio – che periodicamente torna ad affacciarsi su Palazzo Chigi – di un nuovo Governo.

Il Mes, in questo senso, rappresenta uno degli esempi più chiari, con il Presidente del Consiglio che, ormai da mesi, mantiene sul tema un atteggiamento sempre piuttosto ambiguo. Un tatticismo che si è protratto fin troppo a lungo e che, secondo i democratici, deriva dall’esigenza di non creare malumori tra i 5 Stelle, che del Governo sono pur sempre il principale azionista. A questo, poi, si aggiungono altri indizi: su tutti, la manovra con cui Palazzo Chigi sta cercando di accentrare – in grande fretta e con poca trasparenza nel processo decisionale – la gestione dei fondi che arriveranno nell’ambito del Next Generation Ue. Una circostanza che infastidisce anche il Movimento, preoccupato quanto il PD dal decisionismo del Premier.

Che Conte faccia grande affidamento su una squadra di fedelissimi non è un mistero. Un cerchio magico che non è visto di buon occhio in Maggioranza, dove sono sempre più numerosi coloro che lo considerano a tutti gli effetti come un Governo ombra, capace di prevaricare i processi decisionali e rendere vana qualsiasi discussione politica all’interno dell’Esecutivo. Un apparato che, guarda caso, potrebbe finire a costituire l’ossatura fondamentale della cabina di regia che secondo il Premier dovrebbe decidere sui progetti di Next Generation Ue.

All’interno, con ogni probabilità, il nuovo capo di gabinetto del Presidente del Consiglio Alessandro Goracci: ritenuto l’ombra di Conte, Goracci sembra l’uomo più vicino alla gestione dei numerosi dossier che passano da Palazzo Chigi, pur rimanendo sempre ben lontano dai riflettori e dalle cronache politiche. Insieme a lui, dovrebbe far parte della cabina di regia anche il consigliere economico Riccardo Cristadoro, senior director del dipartimento di Economia e Statistica alla Banca d’Italia e già convocato dal Governo ai tempi della commissione Colao, di cui fece parte. Percorso analogo a quello che potrebbe riguardare l’economista Mariana Mazzuccato.

Nella squadra del Premier compaiono il consigliere diplomatico Pieto Benassi, Roberto Chieppa, segretario generale di Palazzo Chigi ed il consigliere militare Carlo Massagli. Non può mancare, infine, Domenico Arcuri: amministratore delegato di Invitalia, commissario straordinario per l’emergenza Coronavirus, per la scuola e per l’Ilva. Un uomo per ogni emergenza, in un paese in cui la logica dell’emergenza è diventata – paradossalmente – la norma.

A gettare benzina sul fuoco delle tensioni interne alla Maggioranza, ecco il caso di Gennaro Vecchione – altro fedelissimo del Premier – confermato alla guida del Dis – Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza -, l’organo che coordina i servizi segreti interni ed esterni. Già sul punto di essere sostituito ai tempi del Russiagate, Vecchione sembrava ormai alla fine del proprio percorso. E invece Conte, con un colpo di scena inaspettato, ha deciso di prorogarne la nomina, avvertendo i partiti di Governo a giochi già fatti, appena due ore prima dell’ufficializzazione della proroga.

Una strategia, quella di affidare la gestione di questioni strategiche a tecnici selezionati dal Premier invece che al lavoro della Maggioranza, che non piace affatto a Democratici e 5 Stelle, tanto che, da qualche giorno, è tornata a circolare l’ipotesi di affiancare a Conte due vicepremier di estrazione puramente politica: uno dei due, tanto per chiarire, sarebbe il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Un ritorno ai tempi del Conte-1, quando “l’avvocato del popolo” agiva su mandato dell’allora capo politico del Movimento e del suo altro vice, Matteo Salvini, all’epoca Ministro dell’Interno.

Nessuno, in questo momento, può garantire che la rete di fedelissimi di Conte regga. Non è un caso che, secondo diverse indiscrezioni, gli stessi uomini su cui il Premier punta così tanto siano alla ricerca di possibili alternative, di piani B da mettere in atto qualora qualcosa non funzionasse. E così, vociferano i più maligni, proprio Arcuri, l’intoccabile, avrebbe puntato un ruolo di primo piano in Cassa Depositi e Prestiti o, in alternativa, in Leonardo.  “Fiutano l’aria“, spiega minacciosamente chi, dall’interno della Maggioranza, spinge per un rimpasto. Il tempo stringe e una data è già segnata sul calendario del Governo: quella immediatamente successiva all’approvazione delle Legge di Bilancio. A quel punto, fanno sapere anche dal Partito Democratico, “si farà il punto“.

 

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