27.354 nuovi casi e 504 decessi, nel Lazio triplicato il numero dei bambini nati morti a causa dell’emergenza

Uno studio coordinato da Mario De Curtis, docente di Pediatria alla Sapienza, ha rivelato che nel Lazio – tra marzo e maggio – il numero dei bambini nati morti è triplicato rispetto allo stesso periodo del 2019.

coronavirus_bambini_nati_morti 16.11.2020 Leggilo.org
Getty Images/ MOHAMMED HUWAIS

I dati del Ministero della Salute in merito alla situazione di oggi ci informano che i casi totali – attualmente positivi, morti e guariti – salgono di 27.354 unità e portano il totale a 1.205.881. Nelle ultime ventiquattro ore 504 morti che fanno salire il numero complessivo delle vittime a 45.733. Da ieri sono stati eseguiti 152.663 tamponi.

I casi attualmente positivi sono 717.784. I dimessi e i guariti salgono a 420.810 registrando un incremento di 9376 unità. sono I ricoveri salgono a 32.536, + 489 mentre nelle terapie intensive 3492 assistiti, +70 rispetto a ieri.

Coronavirus: le vittime indirette

Quando si dice che il problema dell’attuale crisi sanitaria non è solo restare infetto, sviluppare forme gravi della malattia, morire o rimanere con i polmoni segnati a vita, si vuole intendere proprio questo: che il ciclo vizioso che una tale emergenza sanitaria genera non riguarda solo i corpi umani, i corpi individuali, ma anche, e da un certo punto di vista soprattutto, i corpi sociali, ovvero, le società. E il caso del numero dei bambini nati morti, che è triplicato nel Lazio negli scorsi mesi di marzo, aprile e maggio, è proprio una evidenza di quanto la pandemia possa far ammalare e – talvolta uccidere – anche indirettamente, o forse anche più indirettamente che per effetto della infezione. A gettare luce sul caso degli inquietanti numeri emersi sull’impennata di casi di bambini nati morti è stato uno studio condotto da Mario De Curtis, docente di Pediatria alla Sapienza e direttore della Neonatologia al Policlinico Umberto I, pubblicato sulla rivista Archives Disease in Childhood.

I dati raccolti dal team di De Curtis sono stati paragonati agli stessi osservati nello stesso periodo del 2019. Per evitare fattori di ambiguità, sono stati presi in considerazione solo “i neonati singoli e non i nati da gravidanze multiple”, ha specificato il professore. I risultati sono impressionanti, e i dati emersi sono netti, poco interpretabili. Nel periodo preso in considerazione, si è osservato “un aumento di tre volte dei nati morti: dai 10 del 2019 ai 26 nel 2020”, ha evidenziato De Curtis, sottolineando il fatto che il fenomeno “sembrerebbe non essere l’effetto dell’infezione da Covid-19, anche perché l’incidenza della malattia nelle donne in gravidanza nell’Italia centrale, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, è molto bassa, di circa 1 per 1000”. L’ipotesi più probabile, per lo studioso, è quella che interessa molte persone, affette o non da malattie o patologie pregresse, e che preoccupa molti medici di tutto il mondo. “Sembrerebbe essere la conseguenza del fatto che molte donne, aggiunge De Curtis, per paura di contrarre l’infezione in ospedale, non hanno effettuato adeguati controlli in gravidanza”.

Sugli effetti collaterali della pandemia si sono manifestati con preoccupazione molti medici, che hanno richiamato l’attenzione per le morti causate da altre malattie che, però, non erano state diagnosticate in tempo o trattate adeguatamente. È il caso del ritardo negli screening, ad esempio, che rischia di far aumentare i casi di cancro del colon retto. Casi che in Italia, dati Aiom-Airtum alla mano, sono stati diagnosticati a circa 28.800 uomini e 22.500 donne nel 2018. Gli esami di screening attraverso il test del sangue occulto fecale è stato implementato e ha dimostrato di essere capace di ridurre l’incidenza e la mortalità nelle popolazioni controllate, con età compresa tra 50 e 69 anni. Ma l’epidemia rischia di rallentare i risultati ottenuti. L’allarme è stato lanciato dalla società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva (Sige), in occasione della pubblicazione di uno studio condotto di recente dall’Università di Bologna. Per Luigi Ricciardiello, professore di Gastroenterologia dell’Università di Bologna e consigliere Sige, lo studio ha dimostrato come i ritardi negli screening superiori ai 6 mesi “porterebbero a un aumento dei casi in stadio avanzato e che, per ritardi superiori ai 12 mesi, la mortalità a 5 anni aumenterebbe del 12%“. Ricciardiello è preoccupato dal fatto che mentre in alcune realtà l’accesso allo screening è stato riorganizzato, in altre si è ancora molto indietro.

Impostazioni privacy