Stanziati 600 milioni di euro per le terapie intensive: realizzate meno della metà

Il Decreto Rilancio prevedeva un massiccio aumento dei posti in terapia intensiva proprio in vista di una seconda ondata di Covid. Eppure, poche regioni hanno raggiunto l’obiettivo.

Terapia intensiva GETTy 24 ottobre 2020

Una situazione anomala quella dei posti in terapia intensiva negli ospedali italiani che rimangono insufficienti in alcune regioni mentre altre si sono avvicinate di più all’obiettivo, preposto prima di ottobre. Stando al Decreto Rilancio, i posti letto in più nei reparti più gravi sarebbero dovuti essere 3.500 proprio in previsione della seconda ondata che sta ora causando una grave congestione degli ospedali in tutta Italia: una media di 14 posti ogni 100.000 abitanti per contenere l’impatto di una risalita dei casi. L’obiettivo è stato tutt’altro che centrato dato che risultano presenti 1.279 letti in più, meno della metà dei posti previsti.

I fondi stanziati per l’operazione sono stati consistenti: ben 606 milioni di euro che fanno parte dei miliardi messi a disposizione dal Governo dall’inizio della pandemia. E’ tutto scritto nero su bianco nell’articolo 2 del Decreto Rilancio che poneva a 8.679 unità i posti letto da mettere a disposizione su tutto il territorio nazionale contando anche i 5.179 già pronti prima della seconda ondata di contagi. Tra le regioni che si sono avvicinate di più agli obiettivi prefissati e che hanno un numero sufficiente di posti in terapia intensiva ci sono Valle D’Aosta, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Basilicata: le prime tre di questo elenco hanno addirittura superato l’obiettivo fissato dal Decreto, ottenendo un tasso di completamento superiore al 100%.

Posti in terapia intensiva: le regioni a rischio

Le regioni in fondo alla classifica sono invece Umbria, Calabria, Marche, Piemonte ed Abruzzo. La Lombardia, tra le regioni più colpite in entrambe le fasi della pandemia, ha un tasso di completamento pari al 20%, decisamente basso se si considera la drammatica situazione in cui si trova la regione del nord Italia. Anche riguardo le 4 strutture mobili che avrebbero dovuto aggiungere 300 posti letto in più nelle regioni più a rischio, ci sono stati gravi ritardi: il bando per l’assegnazione non è ancora stato chiuso. La causa principale dei ritardi è l’iter procedurale per la presentazione dei bandi che si è trascinato fino ai primi di questo mese, una lentezza che potrebbe ora risultare fatale alle regioni più in crisi e che è decisamente inaccettabile in un momento di simile emergenza.

Nel frattempo, nel resto dell’Europa i paesi con il maggior numero di casi in rapporto alla disponibilità di posti in terapia intensiva pensano già a misure drastiche: è il caso della Svizzera che con un picco di quasi 500 casi ogni 100.000 abitanti ha presentato un documento che i medici devono seguire in caso di sovraffollamento dei reparti di terapia intensiva. A pagina 5, il volume diffuso dalla Società di medicina intensiva recita: “In caso di sovraffollamento dei reparti di rianimazione, verranno esclusi dalle cure pazienti sopra gli 85 anni e quelli sopra i 75 con sintomi come cirrosi epatica, demenza senile e ricorrenti malattie che portano l’aspettativa di vita a meno di 12 mesi”.

Questo è il maggiore rischio in caso di sovraffollamento dei reparti di terapia intensiva, una situazione da incubo in cui i medici saranno costretti a seguire un rigido protocollo per decidere chi può essere salvato e chi deve invece essere lasciato a morire per il virus.

 

 

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