Il presidente dell’INPS: “Prendo meno di quanto mi spetta”

Pasquale Tridico, presidente dell’INPS, uomo di Luigi Di Maio e dei 5 Stelle potrebbe essere travolto come un qualsiasi politico della “casa” contro cui il Movimento ha da sempre preso le misure per le lotte politiche ad oltranza e costruito la propria immagine pubblica.

 

Da mesi nel mirino per i ritardi sul pagamento della Cig, il caos delle partite Iva e lo scandalo dei “furbetti del bonus”, sul presidente dell’Inps sono tornate ad addensarsi le nubi. E dire che solo poche ore prima che Repubblica rivelasse l’adeguamento dei suoi emolumenti, Tridico non aveva mancato di diffondere dati a difesa del buon lavoro del proprio istituto nei mesi cruciali del Lockdown. “Abbiamo pagato 11 milioni di Cig negli ultimi 5 mesi, sono in attesa di essere pagati circa 30 mila lavoratori, ma è un flusso continuo. 30 mila lavoratori su 11 milioni di prestazioni pagate è una percentuale piccola, che continuerà ad esistere perché è un flusso continuo“.  Numeri e risultati che possono essergli ferocemente rinfacciati solo poche ore dopo, a causa delle notizie diffuse sull’adeguamento di stipendio, per lui ed altri papaveri dell’INPS: un importo che sale da 62 mila a 150 mila euro annui un dato inconciliabile con quei 30 mila lavoratori in attesa della Cassa Integrazione semplicisticamente ridotti a mero elemento statistico da Tridico. Com’è stato possibile, ci si chiede, un simile colpo di mano. E la risposta è semplice : c’è stato un decreto interministeriale scritto in piena estate che gli ha permesso di chiedere gli arretrati sull’adeguamento. Tridico fu nominato a maggio 2019, durante il precedente governo Conte, ma il Cda dell’Istituto previdenziale si è insediato solo con il Conte bis, il 15 aprile dello scorso anno. E stato un decreto interministeriale Lavoro-Tesoro, a fissare gli adeguamenti e la decorrenza anomala, non dalla prima riunione del Cda, come legge vuole, ma dalla “data di nomina del presidente“. Una gentilezza proveniente dal Ministero del Lavoro, guidato da un altra esponente del M5S, il Ministro Nunzia Catalfo, con un testo che sembrava confezionato apposta per far sorridere Tridico. In questo modo il presidente dell’INPS avrebbe potuto incassare la differenza tra il vecchio livello retributivo e quello nuovo.

Un possibilità che il  Dipartimento Risorse Umane dell’Istituto ha escluso ma già, il 10 settembre scorso, prima delle rivelazioni di Repubblica il Collegio sindacale dell’istituto aveva ufficializzato un richiamo perché fossero rispettate le norme che disciplinano gli organi degli enti di previdenza, sollecitando un chiarimento immediato. Da quel tafferuglio interno all’articolo di Repubblica il passo è stato breve e ancora più breve il ritorno di polemiche suscitato dall’articolo.

Una vicenda che prende in contropiede i due massimi strateghi – insieme a Rocco Casalino – della propaganda di Governo che, questa volta, devono sbrigare una faccenda meno eclatante del ritorno di Silvia Romano. Il premier, come sempre accade quando ci sono questioni che scottano, dice di non averne saputo nulla prima che lo sapessero i comuni mortali. Di Maio ore fa dichiarava che avrebbe chiesto chiarimenti nelle ore successive e quelle ore sono passate. E ancora tace. Non è così facile parlare e non c’è la stessa fretta di farlo come quando, la settimana appena passata voleva fregiarsi della vittoria sul referendum per il taglio dei parlamentari. Una vittoria contro la “casta” per lucidarsi medaglie appannate fino a diventare nere. Quasi sembravano tornati i vecchi  tempi, ed ecco pochi giorni dopo “l’affare Tridico”.  Malumori ovunque, adesso nell’Opposizione e nelle forze di Maggiornza, con Luigi Marattin di Italia Viva che sintetizza bene il pensiero di molti, un pensiero facile facile: “Urlavano contro la casta, ma ci prendevano per il culo...”. E ora come sempre, si chiedono le dimissioni che  potrebbero essere una questione di millimetri, se la responsabilità formale per l’adeguamento fosse ascrivibile – direttamente – all’INPS. Ma a muovere le carte sono stati altri uffici, e il Ministro Nunzia Catalfo ne sa qualcosa.

Intanto Tridico tenta di non essere disarcionato e lo fa con una lettera a Repubblica, il giornale da cui potrebbe essergli giunto il colpo di grazia: “Caro direttore – scrive il Presidente dell’Inps – ho letto l’articolo che riguarda il mio compenso. Mi ha sorpreso il modo in cui è stata trattata la vicenda” e qui si lamenta Tridico sottolineando le razioni, scomposte, che ha letto sui social, da parte della gente comune. E prosegue con queste parole: “Nessuno del Suo giornale mi abbia chiesto preventivamente una dichiarazione, con la quale avrei subito fitto chiarezza su molte cose. Tutto l’articolo ruota intorno a due falsi: per effetto del decreto interministeriale che stabilisce i compensi del Cda al sottoscritto sarebbe riconosciuto un arretrato di 100mila euro. Questo il primo falso” dice Tridico in quanto il suo compenso “decorrerà non da maggio 2019, bensì dal 15 aprile 2020, vale a dire da quando si è insediato il cda e ne ho assunto la carica di presidente. Il secondo falso” continua il professore calabrese  “è che non è nei poteri del presidente o di qualsiasi altro organo dell’Istituto determinarsi i compensi” quindi escludendo una qualsiasi manovra  di auto conferimento. Tridico in particolare sottolinea la congruità del proprio compenso e come esso sarebbe ben inferiore a quello che le spetterebbe. Nella lettera Tridico richiama   la ” la legge 28 gennaio 2019, n. 4 che aveva previsto la misura dei compensi  fissati senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica attraverso la riduzione di spese di funzionamento di Inps e Inail  e , sopratutto Tridico richiama la direttiva del presidente del Consiglio dei ministri del 9 gennaio 2001 che fissa í criteri e le regole per la fissazione dei compensi degli organi di tutte le amministrazioni pubbliche, suggerendo l’utilizzo di un apposito software per determinare I compensi per il cda sulla base del bilancio dell’Istituto e del numero di dipendenti. E qui Tridico dice la sua sul proprio stipendio e tenta di ribaltare la prospettiva: “Questo software restituiva un compenso per il presidente dell’Inps e per il cda molto più elevato: per il presidente di 240 mila euro, pari al compenso dei dirigenti centrali dell’Inps, e ai vertici di amministrazioni simili. Tuttavia, il decreto interministeriale stabilisce 150 mila euro per il presidente, 40 mila euro per il vice presidente e 23mila euro per ognuno dei componenti del cda. Insomma” conclude Tridico “i ministeri vigilanti sono intervenuti per ridurre la misura derivante dall’applicazione di quelle regole. La storia è questa”

Già, la storia è questa. La prima parte almeno. La scenda potrebbe scriverla il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, sponsor politico di Pasquale Tridico. Oggi tuttavia ha preferito parlare della Sicilia e del Recovery Fund, non della “Casta”.

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