Coronavirus, nessuna certezza: i test rilevano il contagio anche quando il virus è morto

Secondo alcuni ricercatori, i test per rilevare il Coronavirus non sono attendibili e porterebbero ad una sovrastima dell’attuale dimensione della pandemia.

1.297 contagiati e 7 morti: sono questi i dati relativi alla giornata di ieri sull’andamento del Coronavirus in Italia. Come informa Repubblica, nelle ultime 24 ore si è verificato però anche un netto calo di tamponi effettuati, che sono stati 76mila – 30mila in meno di sabato 5 settembre. I ricoveri in terapia intensiva sono stati invece 133, dodici in più del giorno precedente. In crescita anche i ricoverati con sintomi, +63 unità; e le persone in isolamento domiciliare, +809 unità. Il totale degli attualmente positivi è di 32.078, mentre i dimessi ed i guariti sono saliti a 210.015. Numeri che non fanno ben sperare, dicono i virologi.

Secondo Roberto Burioni, non esiste attualmente prova dell’esistenza di un virus meno aggressivo e più buono. “Tuttavia è innegabile che nei mesi scorsi la situazione è molto migliorata”, scrive il virologo su Medical Facts. Ma, per giustificare questo cambiamento, non è affatto indispensabile immaginare una variante virale meno aggressiva. Sono cambiati, al contrario, i soggetti colpiti dall’infezione. Ad essere cambiata è inoltre la capacità di intercettare i positivi, mentre in primavera moltissimi casi non venivano diagnosticati. Infine, anche se non si ha attualmente un farmaco risolutivo, “oggi i medici hanno imparato a trattare meglio i pazienti che soffrono meno complicazioni a causa della stessa identica infezione”, prosegue l’esperto. Ad incidere, c’è anche il fattore caldo e l’uso di dispositivi di protezione individuale. Ma non c’è da respirare, perché il virus, almeno per quanto si conosce ad oggi, è sempre lo stesso. “Modifiche minime senza nessuna correlazione diretta con un quadro clinico meno aggressivo. Al contrario siamo cambiati noi, ed è cambiato di certo il nostro comportamento, molto più attento”, conclude Burioni.

https://www.facebook.com/robertoburioniMD/posts/3456779864547172

Eppure, secondo altri, i numeri dei soggetti positivi a Covid-19 potrebbero essere totalmente falsati, in quanto i test per diagnosticare il virus potrebbe rilevare anche frammenti di virus morto, legato a vecchie infezioni. Pertanto, l’eccessiva sensibilità dei test potrebbe portare a una sovrastima dell’attuale dimensione della pandemia. A dirlo, riporta Adnkronos, è uno studio britannico. Carl Heneghan, dell’Università di Oxford, ha affermato che “i test dovrebbero avere un punto limite in modo che quantità molto piccole di virus non si traducano in una positività”. E proprio il rilevamento di tracce di vecchi virus potrebbe in parte spiegare perché in Gran Bretagna, ad esempio, il numero di casi è in aumento mentre i ricoveri ospedalieri rimangono stabili.

Secondo l’esperto, i dati suggeriscono che l’infettività del Covid-19 sembra diminuire dopo circa una settimana. Una possibilità concreta, afferma all’Adnkronos il virologo dell’Università di Milano Fabrizio Pregliasco, commentando lo studio britannico firmato dal team Heneghan. “E’ possibile e se ne discute, perché l’indagine molecolare in effetti vede le sequenze genetiche e non il virus vivo”, ha affermato. Tuttavia, prosegue, adesso è giusto considerare i risultati positivi e comportarsi di conseguenza in  termini precauzionali. E intanto, il Center for Evidence-Based Medicine dell’Università di Oxford ha esaminato i dati di di 25 studi in cui campioni di virus da test positivi sono stati messi in una capsula di Petri per vedere se si sviluppavano. Questo metodo di “coltura virale” può indicare se il test positivo ha davvero rilevato virus attivi che possono riprodursi e diffondersi, o solo frammenti di virus morti.

Fonte: Repubblica, Medical Facts, Adnkronos

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