Dalla pista russa all’attentato terroristico: tutte le ipotesi sulla “piccola bomba atomica” che ha devastato Beirut

 Sulle due esplosioni avvenute nel porto di Beirut lo scorso martedì pomeriggio si avanzano diverse ipotesi, nessuna finora conclusiva.

Trecentomila sfollati, 4.000 feriti, 135 morti e centinaia di dispersi. A meno di 48 ore dalle due tragiche esplosioni tra i capannoni nella zona del porto di Beirut, il conteggio delle vittime non è ancora finito. La domanda che più si sente in queste ore è: che cosa facevano 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, un composto chimico usato come fertilizzante ma anche per produrre esplosivi, nei capannoni del porto di Beirut, e che secondo il ministro dell’interno Hassan Diab, sarebbero state la causa delle esplosioni? A ricostruire la vicenda del materiale esplosivo – sequestrato sei anni fa e abbandonato nel magazzino del porto – è stato il New York Times.  Secondo il noto quotidiano statunitense  le quasi tremila tonnellate del composto chimico giacevano nei capannoni dal 2013, arrivati a bordo della nave mercantile russa Rhosus, che era partita dalla Georgia e doveva arrivare in Mozambico. Era stato acquistato per conto della Fabbrica di Esplosivi del Mozambico, per essere utilizzato come esplosivo industriale per miniere ed edilizia.

La fermata a Beirut – secondo la ricostruzione – è stata accidentale e dovuta alla situazione economica dell’armatore, Igor Grechushkin, un ricco uomo d’affari russo, che non aveva abbastanza soldi per l’attraversamento del canale di Suez. La nave era stata sequestrata e il materiale immagazzinato, ma i tanti avvertimenti sulla sua pericolosità, e gli appelli a smaltirlo in fretta non sono stati sufficienti, e il nitrato di ammonio è rimasto per anni abbandonato nei capannoni. Così due giorni fa l’incendio, causato  da alcuni lavori di saldatura in corso nel magazzino dov’era conservato il nitrato di ammonio che, secondo alcuni ispettori locali, non era conservato in modo sicuro. Ma non tutti sono d’accordo sulla pista dell’incidente. Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump  – riporta Il Messaggero – ha subito parlato di un “attacco”, per essere poi smentito da tre fonti anonime del suo stesso Dipartimento della Difesa. Anche il partito dell’ex Premier libanese Saad Hariri sostiene la pista dolosa per l’esplosione. Per il movimento, quanto accaduto è parte di una guerra distruttiva che vuole distruggere Beirut.

Non si esclude neanche l’ipotesi di un attacco delle forze israeliane. Il giornalista italo-libanese Pierre Balanian – ai microfoni di Radio Città Aperta – sostiene che il Governo di Netanyahu, in una “fuga in avanti” relativa alle crescenti tensioni tra Libano e Israele, potrebbe aver agito per esacerbare la situazione e favorire così una maggior coesione dei partiti di maggioranza a favore del suo operato. Intanto quattro ex Premier libanesi hanno chiesto in una dichiarazione congiunta che sia una commissione d’inchiesta internazionale ad appurare le cause delle esplosioni. Il Libano, già provato da una crisi economica esponenziale dovrà ora fare i conti con una ricostruzione che potrebbe richiedere troppo tempo, e saranno certamente i più deboli a pagare i conti.

Fonti: Il Messaggero, il Post, Internazionale, Radio Città Aperta, Reuters, New York Times

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