Nei campi, come schiavi: l’ultima speranza degli italiani per sopravvivere

Il Coronavirus ha aumentato la disoccupazione. Ma c’è chi corre ai ripari, con occupazioni temporanee, anche nelle terre. Intanto, in Italia, la situazione economica è sempre più disastrata. 

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Uno scenario sconfortante quello dell’Italia colpita dal Coronavirus: sono di circa una settimana fa le foto delle file ai banchi di pegno dove molti italiani, rimasti senza soldi o senza lavoro, portavano i loro averi in cambio di pochi contanti necessari per le spese di tutti i giorni. Ma, secondo il Corriere della Sera, c’è anche chi ha trovato una strada alternativa, combattendo la disoccupazione con il lavoro in campagna. Le ragioni che hanno spinto almeno 20.000 italiani a decidere di cercare un lavoro nel settore agricolo sono varie: la mancanza di lavoro, appunto, ma anche il desiderio di mettere da parte denaro per i giorni di pioggia che attendono al varco il nostro paese; la voglia di confrontarsi con una nuova occupazione in attesa della riapertura delle scuole (che forniscono lezioni online). A fornirci questa cifra sono le banche dati delle principali piattaforme per la ricerca di occupazione nelle agricole italiane, come Agrijob, la più utilizzata con ben 17.000 richieste ricevute dal 7 Aprile. Molti non hanno mai lavorato nel settore primario ma sono pronti ad imparare: donne ma soprattutto uomini (più della metà dei richiedenti, sempre stando ai dati) e tra loro anche alcuni studenti.

Un settore che al momento ha un disperato bisogno di lavoratori, quello delle campagne: secondo le ultime stime sono 200.000 i lavoratori stranieri che non possono tornare in Italia a proseguire con la raccolta di frutta e verdura o altre attività legate al settore primario a causa dell’emergenza Covid-19. Già il ministro dell’agricoltura Teresa Bellanova aveva avvertito del rischio di perdere interi raccolti a causa della mancanza di persone disposte a prendere il loro posto. “Ci servono 500 lavoratori per raccolta e confezionamento”, dice ad esempio Domenico Paschetta della cooperativa Agrifrutta, con sede a Cuneo: “Il 90% dei nostri braccianti erano stranieri. Ora, non possono spostarsi da Polonia, Albania e Romania”. C’è anche chi non potendo curare la propria azienda nel settore di competenza si impegna in altre attività, informa Il Secolo d’Italia. “Il turismo è fermo, stiamo iniziando a convertire la terra”, dichiara Giuseppe Monacelli dell’agriturismo Tenuta Monacelli a Lecce: “Ho chiesto una mano ai miei collaboratori per piantare nuovi ulivi. Sono contenti di lavorare di nuovo”. Se per quanto riguarda attività come turismo e ristorazione le perdite economiche sembrano purtroppo inevitabili, forse siamo ancora in tempo per contenere i danni in quello agricolo.

Fonte: Il Corriere della Sera, Il secolo d’Italia

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