Germania, prestiti a fondo perduto: e ora l’Italia potrebbe prendere esempio dalla Merkel

La strada intrapresa dal Governo per sostenere l’economia in seguito alla crisi innescata dal Coronavirus potrebbe essere quella sbagliata. I risultati non arrivano, ma le parole e le promesse si.

conte Merkel - Leggilo

Nel nuovo decreto a sostegno dell’economia e della crisi innescata dal Coronavirus, il Governo di Giuseppe Conte ha annunciato nuove misure per 55 miliardi di euro. Ne erano 25, nel decreto Cura Italia varato dal governo il 17 marzo scorso. Di quella somma, circa 10,3 miliardi erano interventi di assistenza sociale. C’erano poi altri 4,8 miliardi di contributi figurativi legati a quella assistenza sociale. Il Reddito di emergenza, una sorta di mini reddito di cittadinanza da 400 euro al mese, si allarga ad una platea nuova e più allargata. Le misure del precedente decreto Cura Italia saranno replicate: i 600 euro che per alcuni degli aventi diritto saranno aumentati a 800 o mille euro per due mesi; cassa integrazione anche per i lavoratori che non ne hanno diritto; bonus una tantum. Il 90% degli aiuti, insomma, servirà alla protezione sociale. La strada imboccata dal Governo, è insomma quella di aiutare chi è senza stipendio. Una direzione giusta, ma che non può essere certamente l’unica.

Lo scrive non a torto Franco Brechis, su Il Tempo. Mentre molte aziende ed esercizi commerciali restano chiusi, a causa delle dure condizioni imposte per riaprire, gli 80 miliardi di euro – somma totale degli aiuti – viene indirizzato a chi è senza stipendio e che, probabilmente, continuerà a non averò più. “Conte è convinto che nessuno perderà il lavoro perché lui ha decretato così, vietando di licenziare chicchessia”, scrive Brechis mettendo in luce la scarsissima esperienza di economia dell’attuale Presidente del Consiglio, che segue i consigli dei grillini e della sinistra. Il divieto di licenziamento, infatti, non basterà per far perdere agli italiani il posto di lavoro. Se le aziende chiudono, non ci sarà comunque lavoro, a prescindere dal decreto. Alla liquidità garantita al 100% dallo Stato, vi ha attinto poco più dell’uno per cento degli aventi diritto. Responsabilità da imputare alle banche, secondo Conte. E invece, “Il suo aiuto alle imprese non funziona perché non è quello di cui hanno bisogno”, prosegue l’editoriale.

Non solo nell’idea, ma anche nella pratica l’avere accesso alle misure è risultato complicato. Oltre al fiume di documentazioni da presentare, le piccolissime imprese non vogliono aggiungere debito a debito per restare chiuse diverse settimane. La riapertura, inoltre, non fa stare più sereni: gli incassi – a causa delle limitazioni nei coperti, degli obblighi per asporti e domicili, oltre che dal crollo del turismo e delle persone che difficilmente si riverseranno nei bar e nei ristoranti – non riprenderanno facilmente. Tutt’altro. Pertanto, tirando due somme, ai lavoratori conviene chiudere ora e pensare a riparare ai debiti già esistenti più che farsene altri.

“I prestiti sono un flop”

A confermare il fatto che i mini prestiti fino a 25mila euro introdotti dal decreto liquidità a sostegno dei liberi professionisti, dei lavoratori autonomi e delle Pmi non hanno riscosso l’interesse sperato, è stata anche la Cgia di Mestre. Questa, informa TgCom24, ha riscontrato che fino allo scorso 30 aprile le banche hanno fatto pervenire al Fondo di garanzia del Mediocredito Centrale 45.703 mila domande. Tenendo conto che la platea delle imprese e dei liberi professionisti interessati per legge da questa misura è costituita da oltre 5.250.000 attività, vuol dire che solo lo 0,9% di queste ultime ha fatto ricorso a questa misura. Tanti imprenditori anno inviato la domanda non correttamente e sono stati invitati a modificarla. Ma, anche considerando questo, “l’incidenza percentuale delle aziende interessate dal micro prestito rimarrebbe comunque bassissima”, riferisce la Cgia. Una percentuale del 5,6%.

E’ necessario consentire alle Pmi di accedere alle risorse con più facilità. Un modello da seguire potrebbe essere quello tedesco. Il governo federale e i länder tedeschi hanno erogato, alle realtà con meno di 15 addetti, fino a 15 mila euro a fondo perduto. Una misura di grande attenzione alle piccolissime attività che sia la Banca d’Italia sia il Commissario Europeo al Mercato Interno e ai Servizi hanno suggerito al nostro Governo di adottare anche in Italia. Il rischio è chiaro: se le aziende non avranno a disposizione la liquidità necessaria per far fronte alle esigenze di ogni giorno, nel giro di qualche mese molte di queste saranno costrette a chiudere definitivamente i battenti.

Servono aiuti a fondo perduto, oltre che miliardi di euro per aiutare anche i piccoli commercianti a investire nella ristrutturazione degli spazi secondo le nuove regole, in modo da consentire la loro riapertura e il mantenimento dei posti di lavoro per la maggioranza dei dipendenti. “Serve anche la defiscalizzazione di qualsiasi investimento per affrontare le regole del nuovo mondo, per inventarsi altre attività”, scrive ancora Brechis. Casse integrazioni, redditi di cittadinanza e redditi di emergenza non bastano, o comunque non saranno sufficienti in futuro. Il Paese muore, e gli 80 miliardi di euro saranno così buttati. La necessità, invece, è che vengano reindirizzati ad un corretto utilizzo.

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