“Non riesco a parlare”. Gino, medico in pensione torna per aiutare i colleghi. La febbre e poi la fine

Non aveva esitato nemmeno per un momento quando è arrivata la chiamata dei suoi ex colleghi nel bresciano. Gino Fasoli si è ammalato e il Covid-19 non gli ha lasciato scampo nel giro di pochi giorni. 

Coronavirus, morto il Dottor Fasoli: era tornato in corsia a 73 anni - Leggilo.org

Continuano a crescere i contagi nel nostro Paese. Quello che ormai appare evidente sono le condizioni critiche in cui stanno operando, ormai da diverse settimane, gli operatori sanitari: dai medici e gli infermieri negli ospedali, ai medici di base, lasciati a combattere una vera e propria guerra senza protezioni, senza difese. E sono tantissimi i sanitari che sono stati contagiati, o sono caduti compiendo il loro dovere. Eppure dovrebbero essere loro i primi ad essere difesi. Ma il materiale scarseggia e sono costretti, per garantire a ciascun paziente le giuste cure, ad andare avanti, a continuare con quel poco che hanno. Pochi giorni fa, come scrive Agi, i medici lombardi hanno lanciato un appello al Governo del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, per chiedere maggiori tutele.

Spiega Roberto Carlo Rossi, Presidente dell’Ordine dei Medici di Milano, 20 sono i medici deceduti dopo essersi ammalati sul campo, e di questi 13 erano lombardi. Notizie drammatiche arrivano, a più di un mese dall’inizio dell’epidemia, proprio dagli ospedali lombardi. Si chiede il tampone per tutti, mentre anche per il personale medico tutt’oggi vale la regola generale che vuole il test effettuato soltanto per i sintomatici. Ma c’è di più: i reparti diversi da quelli che gestiscono l’emergenza Covid-19, raramente vengono riforniti di materiale protettivo: una situazione pericolosissima, dal momento che, in reparti come Oncologia, si trovano pazienti che potrebbero subire conseguenze devastanti da un’ipotetico contagio da Covid-19. Guido Marinoni, Presidente dell’Ordine di Bergamo, racconta di come ormai la situazione richieda interventi speciali per evitare il contagio tra le corsie: “Le linee guida di Singapore  stabiliscono la suddivisione di equipe pulite ed equipe sporche: le prime sono composte solo da operatori non positivi, le seconde solo da malati”. E ancora: “Quando uno dell’équipe pulita si ‘sporca’ viene curato o comunque messo in quarantena, e poi torna nel gruppo in cui stava. Il presupposto, naturalmente, è quello di fare i tamponi anche agli asintomatici”. Tutto questo anche perchè esiste un dramma nel dramma: ovvero la mancanza di personale medico: gli ospedali in questo momento non possono permettersi medici o infermieri in quarantena, dal momento che potrebbero non esserci sostituti.

Una soluzione escogitata è stata quella di richiamare in corsia donne e uomini andati di recente in pensione. Ed è per questo motivo che il Dottor Gino Fasoli, di Passirano, in provincia di Brescia, è tornato in corsia. Un passato da frate francescano, poi, dopo essersi spogliato della tunica, una laurea in Medicina. Fasoli, che era di origini abruzzesi, è stato medico di base a Cazzago San Martino e aveva diretto per anni per anni il pronto soccorso di Bornato, sempre nel bresciano. Una vita spesa a dedicarsi agli altri: era anche stato in Africa, con Emergency e Medici Senza Frontiere, dove era anche stato rapito. In Eritrea, dove era medico per una ditta italiana, venne sequestrato e portato in un villaggio per fargli curare alcune persone malate. Come racconta Il Corriere della Sera, quando è arrivata la chiamata dei suoi ex colleghi, Fasoli non ha esitato un solo momento: “Gino, puoi darci una mano? Gli ambulatori sono sguarniti perché tanti di noi sono andati in ospedale a dare un mano ai colleghi in prima linea o perché si sono ammalati”. E infine: “Ma i pazienti hanno bisogno di qualcuno che li ascolti. Puoi farlo tu?”. E cosi il Dottor Fasoli ha indossato di nuovo il camice bianco. Poi la tragica notizia della positività. Racconta suo fratello Giuseppe: “Il 6 aveva un pò di febbre. Gli ho telefonato il 10 per chiedergli come stesse e lui, con un filo di voce, mi ha risposto così: ‘Non riesco a parlare’. E ha riappeso. Da allora non sono più riuscito a sentirlo”. Il giorno seguente Fasoli è stato trasferito in ospedale e, dopo il tampone positivo al Covid-19, è stato intubato. Il giorno 14, alle 05.45 è deceduto presso l’Istituto Clinico San Rocco Ome.

Fasoli, come tanti suoi colleghi, non aveva a disposizione materiale idoneo per proteggersi. Conclude il fratello Giuseppe: “A fine febbraio mio fratello mi disse che gli avevano dato finalmente una mascherina: ‘Una al giorno?’, gli chiesi. ‘No, una e basta’, mi rispose”. Le piccole comunità di quella zona di Brescia comunemente detta Franciacorta, si stringono per la perdita di un uomo che ha dato sempre tutto, e che, a 73 anni, non aveva rifiutato la chiamata d’aiuto della popolazione.

 

Fonte: Agi, Il Corriere della Sera

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