Migranti, l’accordo di Malta rischia di essere un fallimento prima di nascere

Il Ministro dell’Interno Lamorgese è costretta ad ammettere che l’Accordo di Malta si sta rivelando un fallimento. Solo 3  Paesi disposti a collaborare.

Come altri prima, l’odierno esecutivo non riesce a mettersi d’accordo su quali siano i successi e quali, invece, i fallimenti. Non più di due settimane fa il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte definiva l’Accordo di Malta “un gran successo” e lanciava frecciatine all’ex alleato Matteo Salvini alludendo a malanimo ed “invidia” da parte dell’ex Ministro per risultati che lui non era stato in grado di conseguire. Ma, secondo  Open, la strada per conseguire un successo nelle politiche migratorie è ancora lunga e tutt’altro che lineare. il Ministro degli Interni Luciana Lamorgese, in conclusione del Consiglio Giustizia e affari interni UE di Lussemburgo, ha dato elementi sufficientemente chiari per ritenere l’accordo di Malta un fallimento. E’ lo stesso  Ministro a riconoscere, ad oggi, che solo un numero esiguo di Paesi dell’Unione Europea si sono impegnati ad aiutare l’Italia e Malta nella redistribuzione dei migranti. Non sarebbero più di 3 o 4.

Gli obiettivi di Malta sui migranti

L’obiettivo dell’esecutivo giallo rosso per il vertice tenutosi a Malta il 23 settembre scorso, era assicurarsi l’adesione di almeno 12 Paesi membri. Ma fin’ora – come riporta Adnkronos – sembrano aver risposto positivamente solo Lussemburgo, Portogallo e Irlanda. E anch’essi, tuttavia, non sono vincolati legalmente in quanto l’Accordo di Malta contiene una clausola nel quale viene specificato che anche i Paesi firmatari possono tirarsi indietro qualora giudichino la situazione degli sbarchi ingestibile. In altre parole quando lo riterranno opportuno. E in alcun caso sono previste sanzioni.

Il perché di questa scarsa adesione è da rintracciare in una combinazione di fattori che il governo Conte bis ha sottovalutato. In primis è impensabile chiedere collaborazione nella gestione dei migranti a paesi come Spagna, Cipro, Bulgaria e Grecia che sono anch’essi primi Porti di approdo e superano di gran lunga l’Italia in quanto a richieste di asilo. In secondo luogo la decisione del Premier Conte di riaprire i porti si è rivelata un autogoal: Porti aperti, infatti, significa incentivare nuove partenze e, dunque, rapido aumento degli sbarchi. Nessun Paese si metterebbe nella condizione di dover affrontare una situazione che, con ogni probabilità, diventerà quanto prima ingestibile anche per i cambiamenti adottati dal Governo proprio in tema di politica migratoria. Infine – puntualizza Il Sole 24 Ore – all’interno dell’UE vi sono Stati  del Gruppo di Visegràd  – Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia –  apertamente ed esplicitamente non favorevoli all’immigrazione sul loro territorio.

Fonte: Open, Adnkronos, Il Sole 24 Ore.

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