Massimo, ucciso dal miglior amico con venti coltellate. Ma l’assassino non ha colpa dicono i giudici

Massimo Monteneri ucciso a coltellate, ma la sentenza assolve l’amico della vittima Marco De Silli. Nei guai, ora, potrebbero finire altre persone.

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Massimo Monteneri/Facebook

Massimo Monteneri fu brutalmente ucciso il 20 ottobre del 2017: a togliergli la vita fu l’amico di una vita, Marco De Silli, che lo stava ospitando in casa propria. I due si conoscevano da sempre, cresciuti insieme sin dai tempi dell’infanzia trascorsa all’oratorio. De Silli, che da tempo soffriva di disturbi psichici, quella mattina delirava: la sorella, preoccupata, si era recata presso il Centro di salute mentale dove l’uomo era in cura per richiedere un intervento da parte dello staff sanitario. Secondo le ricostruzioni nessuno agì per aiutarlo e la situazione precipitò: De Silli, in preda a una crisi allucinatoria, aggredì Monteneri, colpendolo con venti coltellate alla schiena. Subito dopo, l’uomo si recò dal vicino di casa, raccontandogli di aver “salvato il mondo“.

Ora, a distanza di tre anni e mezzo, l’uomo è stato assolto con formula piena dal giudice chiamato a pronunciarsi sul suo caso: De Silli uccise l’amico a coltellate, ma lo fece in condizioni di assoluta incapacità di intendere e di volere. La tragedia, avvenuta nel quartiere Serpentara, a Roma, sarebbe stata legata alle condizioni mentali dell’aggressore, che ora dovrà passare un anno presso una Rems – una Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza. E’ in queste strutture che vengono accolti gli autori di reati efferati affetti da disturbi mentali e ritenuti socialmente pericolosi.

L’incapacità di intendere e di volere rappresenta una delle poche ragioni per cui anche imputati ritenuti colpevoli di reati possano essere assolti, come accaduto in passato, ad esempio, a Gianluca Barrucca, autore dell’omicidio della madre settantatrenne, a Senigallia.

La piena assoluzione di De Silli, tuttavia, potrebbe portare delle conseguenze dal punto di vista penale e processuale per il medico del centro di salute mentale presso era in cura e per due psichiatri della stessa struttura: è infatti possibile che i medici non abbiano prestato le cure e le attenzioni dovute all’aggressore, le cui condizioni – una grave forma di schizofrenia paranoide – erano note. In particolare, si ritiene che a De Silli avrebbero dovuto essere somministrati degli psicofarmaci. Eppure nessuno, secondo le ricostruzioni fin qui effettuate, avrebbe  vigilato sull’assunzione dei farmaci da parte dell’uomo, nonostante la segnalazione della sorella.

Alla luce di queste informazioni, per il medico del centro di salute mentale è stata chiesta la condanna a otto mesi di carcere – con rito abbreviato – per concorso colposo in omicidio volontario, mentre per i due psichiatri che quella mattina erano di turno è stato chiesto il rinvio a giudizio. L’accusa nei loro confronti è di rifiuto di atti d’ufficio.

 

 

 

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