Forlì, in azienda spogliatoi separati per italiani e stranieri “Lo hanno chiesto i lavoratori”

Spogliatoi separati per lavoratori bianchi e lavoratori neri. E’ questa l’incredibile notizia che arriva da Forlì, dove un’azienda è finita al centro delle polemiche. 

In azienda spogliatoi separati per lavoratori bianchi e neri
Buda Mendes/Getty Images/Archivio

Spogliatoi separati per lavoratori bianchi e lavoratori neri. Non siamo negli Stati Uniti degli anni ’50, ma a a Forlì, Italia, nel 2021. Una notizia sconcertante venuta alla luce durante una telefonata tra un imprenditore e un sindacalista. “C’era una vertenza. Ho contattato l’imprenditore. E sono rimasto scioccato quando mi ha messo al corrente che nella sua azienda ci sono spogliatoi separati: per lavoratori bianchi e lavoratori neri“, racconta il sindacalista. “Mi aveva detto proprio così: sarò pure considerato razzista ma nella mia azienda funziona in questo modo“. Parole incredibili, che raccontano, per certi versi, quanto ancora sia distante il raggiungimento di una piena integrazione nel nostro Paese. Una distanza che spesso si rende maggiormente visibile e tangibile nel mondo del lavoro.

Il caso nasce a settembre, quando uno dei venti dipendenti assunti dalla Plasfor – azienda romagnola specializzata in vernici protettive – raggiunge Cesena per pregare in moschea. Al suo ritorno al lavoro, l’uomo risulta positivo al Coronavirus e contagia, nei giorni successivi, altri quattro colleghi. A quel punto l’imprenditore Claudio Conficoni, decide di sospendere il lavoratore. Una decisione discutibile, dalla quale nasce una vertenza, con Femca-Cisl che, attraverso il lavoro del sindacalista Cristian Pancisi, prende in carico la situazione. E’ in questa fase che il rappresentante viene a sapere della separazione degli spogliatoi basata sul colore della pelle.

La notizia crea un’enorme attenzione mediatica verso l’imprenditore, raggiunto da decine di telefonate. Lui non nega che gli spogliatoi siano effettivamente divisi. Ma offre del caso un’interpretazione tutta sua: “Con me lavorano solo operai assunti e in regola. Nella mia azienda entra solo chi è bravo. E se ho assunto macedoni, albanesi, senegalesi, del Burkina Faso è perché hanno voglia di lavorare e lo fanno bene“, si difende Conficoni. Come se far lavorare in regola dei dipendenti fosse un merito e non un dovere.

E prosegue elencando i grandi risultati raggiunti dalla propria azienda, che è quella – ricorda con orgoglio – che ha verniciato la torre Unicredit a Milano, il grattacielo più alto e rappresentativo del capoluogo lombardo. Tutto bene, se non fosse che il tema, in questo caso, è un altro: la decisione di avere in azienda spogliatoi separati in base al colore della pelle. Quando, finalmente, arriva al punto, Conficoni scarica la responsabilità sui lavoratori: “È stata una decisione presa dai miei dipendenti. Tra di loro ci sono dei musulmani che hanno il bisogno di pregare. Durante l’orario di lavoro hanno il permesso di farlo nello spogliatoio. Gli altri hanno detto: ma non è che per andare a fare la pipì devo vedere loro che pregano! Così di comune accordo hanno deciso. Tutto qui. E comunque gli spazi sono in comune, docce, bagno. Sono solamente separati da due porte“.

Una versione molto diversa rispetto a quella sostenuta da Pancisi, che invita l’imprenditore a un confronto pubblico sul tema. “È stato Conficoni a dirmi che c’era un bagno per i bianchi e uno per i neri. Dopo ha corretto il tiro dicendo che la motivazione era religiosa che c’era quello per mi cristiani e quello per i musulmani“, ripete ancora il sindacalista. “Il problema della convivenza di diverse etnie c’è in molte aziende. Per risolverlo c’è bisogno di tempo, competenza e volontà. Credo si sia cercata una soluzione troppo semplice. Inaccettabile“.

La prima segnalazione di questa incredibile divisione, Pancisi la aveva inoltrata all’ispettorato del lavoro già a settembre. In quell’occasione un’ispettrice aveva raccolto le testimonianze dei lavoratori, ma del caso non si era più saputo niente. “Il sindacato si rende conto che il danno d’immagine alla mia azienda colpisce pure i lavoratori?” chiede l’imprenditore. Un tema classico, nella dinamica tra imprenditori e lavoratori, con i primi che, in casi di questo tipo, sembrano spesso mostrare un’inedita attenzione e preoccupazione nei confronti dei secondi.

 

 

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