“I ricoveri in terapia intensiva raddoppiano ogni 16 giorni, così si va al collasso”

Il fisico Riccardo Spezia, analizzando l’andamento della curva dei contagi, ha realizzato uno studio secondo cui la velocità di crescita dei ricoveri in terapia intensiva è più alta in Italia che in Francia. Un andamento preoccupante, perché rischia di riportare presto i reparti vicini al livello di saturazione. 

Negli ultimi mesi, da quando il coronavirus è entrato a far parte delle nostre vite, abbiamo imparato ad avere a che fare quotidianamente con una serie di dati che riguardano l’andamento dell’epidemia. Tra tutte queste cifre, particolarmente significativa è quella relativa ai ricoveri che ogni giorno si registrano negli ospedali – e in particolare nei reparti di terapia intensiva. Un dato che, ancora più degli altri, non ammette interpretazioni: tutti infatti sappiamo che, di fronte ad un livello di ricoveri tale da mandare nuovamente in affanno i reparti di terapia intensiva e gli ospedali, la via d’uscita dalla seconda ondata sarà la stessa, identica, che adottammo nel corso della scorsa primavera: quel lockdown che, con la crescita della curva del contagio, si fa sempre più strada come ipotesi concreta. Anche per questo il Decreto Rilancio aveva previsto, dopo la terribile primavera trascorsa, la creazione di 3.553 nuovi posti letto in terapia intensiva. Ad oggi, ne sono stati realizzati solo 1.450, un ritardo grave che rischia di portare, nei prossimi mesi, terribili conseguenze.

Lo studio

Anche perché le notizie, in questo momento, non sono affatto incoraggianti. Infatti, in base ad uno studio elaborato dal dottor Riccardo Spezia, fisico del laboratorio di Chimica Teorica presso la Sorbonne Universitè di Parigi, ed esperto di cinetica delle reazioni chimiche, il ritmo di crescita dei ricoveri nei reparti di terapia intensiva è, nel nostro paese, più alto che in Francia, dove pure si registra regolarmente, da diverse settimane, un più elevato numero di contagiati. L’analisi realizzata dallo studioso, e pubblicata sul proprio profilo Facebook, evidenzia che, a fronte di un tempo di 23 giorni per il raddoppio dei ricoveri in terapia intensiva registrato in Francia, nel nostro paese sono sufficienti 16 giorni per ottenere lo stesso risultato. Segno, secondo Spezia che “è già un po’ troppo tardi“.

Il fisico, intervistato da Fanpage, spiega che alcuni segnali che potessero lasciar intravedere un andamento di questo genere c’erano già da almeno un mese, ma probabilmente l’Italia si è lasciata prendere la mano da un eccessivo ottimismo. I ricoveri in terapia intensiva in Francia sono, in questo momento, molto più numerosi, ma prendendo in considerazione i dati relativi agli ultimi due mesi, “la velocità con cui raddoppiano è più elevata in Italia“. Certo, la definizione di terapia intensiva può essere leggermente diversa da un paese all’altro, quindi il numero assoluto dei ricoveri può anche dipendere dalla definizione amministrativa nazionale. Ma il dato sulla crescita dipende esclusivamente dalle reali condizioni delle persone e dall’andamento dell’epidemia.

Il rischio di saturazione delle terapie intensive

Il rischio, inevitabilmente, è che in Italia si torni presto ad una situazione in cui i reparti di terapia intensiva vadano in sofferenza per i troppi ricoveri. “Se i ricoveri impiegano due settimane per raddoppiare, si può fare un semplice calcolo, ovviamente con una certa incertezza“, dice il dottor Spezia. “Serve per avere un’idea del fenomeno. Adesso in Italia ci sono 800 persone ricoverate in terapia intensiva, se le condizioni non cambiano questo significa che tra due settimane ce ne saranno circa 1600. Quindi diciamo che fra un mese potrebbero essercene 3200“. Cifre già abbondantemente superiori a quel 30% di saturazione delle terapie intensive che il Governo ha posto come “soglia di sicurezza“.

Una significativa differenza, rispetto alla prima ondata, è rappresentata dal fatto che oggi l’epidemia è diffusa in maniera consistente su tutto il territorio nazionale, mentre a marzo e nei mesi successivi aveva riguardato soprattutto due o tre regioni. Quindi, se all’epoca fu necessario, ma possibile, spostare i medici da altre aree del paese per dare una mano nelle zone più colpite, adesso una soluzione di questo tipo sarà senz’altro di più difficile attuazione.

La strada verso la saturazione dei reparti di terapia intensiva, secondo Spezia, è tracciata: “Se io raddoppio ogni due settimane i posti occupati in terapia intensiva, arriverò sempre alla saturazione. Ci metterò magari due mesi anziché una settimana, però il risultato sarà sempre quello“, dice, sottolineando che probabilmente quanto fatto fino a questo momento è stato troppo poco. Molto importante sarà vedere, tra due-tre settimane, se la nuova stretta data da Governo e regioni con i provvedimenti adottati negli ultimi giorni sarà riuscita a rallentare la crescita della curva. “Ora“, dice ancora lo studioso “siamo in una fase iniziale ed è difficile dire come andrà“, ma quel che secondo Spezia è certo è che “Si poteva agire un mese fa o due mesi fa a seconda del caso. Questi segnali per una eventuale terza ondata dovranno essere visti prima“.

D’altra parte, finché non sarà in commercio – ed accessibile a tutti – un vaccino in grado di contrastare efficacemente il virus, le ondate continueranno a susseguirsi inevitabilmente. Non si può in alcun modo escludere, quindi, che a questa seconda ondata faccia seguito, nei mesi a venire, una terza. Ciò che si deve fare, secondo Spezia, è “vedere con un po’ di anticipo il ritorno del virus. Prima si vede e meglio si può contenere, ed evitare che la gente muoia“.

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Le misure di contenimento

Sulle misure restrittive varate negli ultimi giorni, il chimico esprime perplessità. Secondo lui, infatti, provvedimenti di questo tipo avrebbero dovuto essere adottati con almeno un mese di anticipo. Questo perché la crescita della curva, da lineare, è diventata esponenziale e “quando mi accorgo che è cresciuta potrebbe essere già troppo tardi per certi interventi. È come un incendio“, spiega. “Quando c’è un incendio in un edificio, all’inizio non lo si vede, non si vede nemmeno il fumo, ma intanto si mangia l’ossigeno. Quando uno vede le fiamme è troppo tardi. Purtroppo noi interveniamo quando si vedono le fiamme“.

I segnali, quindi, erano visibili già da tempo, sia in Francia che nel nostro paese. Il problema, secondo Spezia, è che imporre delle misure restrittive alla popolazione in un momento in cui i dati non sono apparentemente preoccupanti è operazione complessa e spesso sconveniente dal punto di vista della popolarità politica. Quel che è certo è che, come sottolinea lo studioso, “tra Francia, Spagna, Italia, Inghilterra, che hanno governi di colori differenti, alla fine della fiera hanno lo stesso risultato. Tranne pochissimi siamo più o meno tutti nelle stesse condizioni“.

Insomma, di fronte a questa tendenza, Spezia non ha dubbi: “I freddi numeri suggeriscono che arriveremo a un nuovo lockdown, se non ci sarà un cambio di rotta“. Il problema principale, spiega, riguarda il livello di saturazione delle terapie intensive, e i rischi maggiori, in questa seconda ondata, potrebbero riguardare il Sud Italia, meno attrezzato dal punto vista numerico. Certo, un cambio di rotta è possibile ed auspicabile, ma può esclusivamente arrivare con il concorso di una serie di componenti, che vanno dall’adozione delle giuste misure restrittive da parte dei Governi fino all’assunzione di comportamenti prudenti da parte di tutti i cittadini. Un elemento non banale, visto che viene sostanzialmente chiesto a tutti noi di modificare radicalmente le nostre abitudini di vita quotidiana: “bisogna fare in modo che la popolazione faccia proprio un modo diverso di comportarsi“, sostiene Spezia. “In Cina lo fanno perché chi fiata non fa una bella fine; in Corea del Sud sono tutti tracciati, non c’è un sistema dittatoriale come in Cina, ma c’è un controllo della privacy diverso anche attraverso le App. Nelle società occidentali è diverso. Una società non cambia in pochi mesi“.

La novità più grande, per quel che riguarda le misure di contenimento, è quella – sia in Francia che in alcune zone dell’Italia – del coprifuoco. Una misura presa prima di chiunque altro dal Presidente francese Emmanuel Macron, che vorrebbe riportare in meno di un due  mesi la circolazione del virus al di sotto della soglia dei 3000 nuovi contagi quotidiani. Una misura che secondo Spezia potrebbe contribuire a far frenare la curva, ma che probabilmente da sola non sarà sufficiente a far crollare drasticamente il numero dei contagiati. “Se si sta tanto tempo in una stanza chiusa anche con le mascherine alla fine ci si contagia lo stesso. Purtroppo questa cosa non è passata“, si rammarica lo studioso.

Come sarà il Natale?

Ultimo, delicatissimo argomento: il Natale. Un periodo particolarmente complicato, alla luce della situazione attuale. Secondo Spezia “sarà come passare tra Scilla e Cariddi, ovvero tra un triste Natale e un tragico gennaio“. Per le festività le persone si incontrano, si ritrovano nelle case per celebrare la ricorrenza e trascorrere del tempo insieme, vicini. Qualcosa che potrebbe avere conseguenze drammatiche, in un momento come questo. “Uno può anche non fare il lockdown“, dice  “ma vanno convinte le persone a non fare pranzi e cene di Natale, con un impatto psicologico enorme“.

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