Nessuna arretratezza: il velo è un modo per proteggere la mia libertà e non essere mercificata, dice

Silvia Romano, la cooperante 25enne da poco rientrata in Italia dopo due anni di prigionia, racconta la sua conversione e le ragioni che l’hanno spinta ad abbracciare l’Islam.

Sono ormai due mesi che la 25enne milanese Silvia Romano ha fatto ritorno a casa, dalla sua famiglia, dopo 2 anni di prigionia in Kenya. Sulla sua conversione all’Islam – motivo che le ha attirato addosso polemiche e insulti sui social – non aveva ancora voluto parlare pubblicamente. Solo – riportava AGI – la rassicurazione agli inquirenti e ai magistrati che nessuno l’aveva costretta: “La conversione è stata spontanea, non ho subito violenze e nessuno mi ha costretta”. Ma null’altro, nessun particolare, nessuna spiegazione approfondita dalla bocca di Silvia. In molti si sono chiesti come mai la ragazza abbia scelto di abbracciare proprio la fede dei suoi aguzzini.

A distanza di due mesi Silvia si è raccontata a La Luce, giornale online diretto da Davide Piccardo, musulmano italiano che ha sempre avuto un ruolo molto attivo all’interno dell’Islam in Lombardia. La ragazza ha spiegato che prima che tutto avesse inizio lei non aveva alcun rapporto con la fede, era una non credente. “Prima, quando leggevo notizie che riportavano tragedie, pensavo che quella era la riconferma che Dio non esisteva”. Ma poi una di queste tragedie ha colpito lei: giovane, solare, andata in Africa per aiutare, per fare del bene. E allora perché? Perché…questo ha iniziato a chiedersi Silvia: “Nel momento in cui sono stata rapita è scattato il primo campanello. Ho iniziato a chiedermi : Perché? Qual è la mia colpa? E una volta sola nella mia prigione ho iniziato a pensare che forse Dio mi stava punendo perché non credevo in lui”. Da lì – anche per ingannare le giornate interminabili – la richiesta ai suoi carcerieri di poter avere un testo del Corano e l’inizio della lettura del libro sacro. Silvia spiega che non ha trovato contraddizioni, né parole di violenza. Poi una notte un bombardamento, la paura di non poter mai più rivedere mamma e papà e le preghiere a Dio, a quel Dio da cui Silvia si era allontanata per anni. Un Dio che però nella sua mente ha iniziato a prendere il nome di Allah. Come anche il suo nome è cambiato da Silvia in Aisha, la seconda moglie del profeta Maometto, la più giovane, la preferita: “Ho scelto Aisha perché durante la prigionia ho sognato di essere a Milano e che sulla tessera ATM c’era scritto Aisha. E poi anche perché vuol dire Viva”. Infine la scelta di indossare l’Hijab che non tutte le donne musulmane portano, specialmente le ragazze molto giovani come Silvia. Ma la 25enne Silvia-Aisha Romano – che pure prima lo guardava con sospetto, come simbolo di sottomissione – ora spiega che la sua è stata una scelta di libertà: “Per me la libertà sta nel coprire il mio corpo per non venir mercificata, non venir considerata un oggetto sessuale. Dio mi chiede di indossare il velo per elevare la mia dignità e il mio onore”.

Fonte: La Luce, AGI

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