Coronavirus: il crollo del Pil provocherà i tagli alle pensioni. E dovremo lavorare più anni

La crisi economica cagionata dai mesi di lockdown farà chiudere in negativo il 2020. Il crollo del Pil influirà anche sugli assegni pensionistici che potrebbero subire tagli.

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La crisi economica provocata dai mesi di lockdown, sta mettendo in ginocchio milioni di lavoratori: negozianti, ristoratori, baristi, camerieri, parrucchieri, gestori di stabilimenti balneari. Ma, a quanto pare, neppure chi “ha già dato” può stare tranquillo: anche i pensionati sono a rischio.  Soltanto il mese scorso i vertici dell’Inps avevano cercato di rassicurare gli italiani garantendo che le pensioni non sono a rischio. Tuttavia avevano anche lasciato intendere che il crollo dell’economia avrebbe avuto conseguenze, in qualche misura, in ogni settore, compreso quello previdenziale. Ed è proprio quanto si prospetta. Infatti – spiega il Corriere della Sera – il pesante crollo del Pil previsto per il 2020 – stimato tra l’8% e il 9,5% . potrebbe, con buone probabilità, incidere anche sugli assegni pensionistici.  A pagare le spese maggiori saranno coloro che ricadono nel sistema di calcolo misto o contributivo. Infatti, con la riforma Dini del 1995, i contributi versati vengono rivalutati con un tasso di capitalizzazione che è influenzato dalla crescita media del Pil dei 5 anni precedenti. Di conseguenza, coloro che andranno in pensione a partire dal 1 gennaio 2022 avranno una rivalutazione dei contributi influenzata dalla decrescita del Pil di quest’anno. Il 2022 sarà, infatti, il primo anno a cui si applicherà il contingente che terrà conto del Pil del 2020. Tuttavia anche gli anni successivi potrebbero vedere assegni pensionistici più bassi di quanto ci si aspetterebbe. Questo perché, una norma varata nel 2015 dal Govero Renzi, prevede che, per recuperare il coefficiente negativo fornito dall’Inps ogni anno sull’andamento del Pil, si può sottrarre dai tassi positivi degli anni successivi per non andare mai sotto lo 0. Di conseguenza, se anche il Pil tornasse a crescere nel 2021, per recuperare il Pil negativo del 2020, le pensioni potrebbero comunque continuare a subire tagli.

Ma di quanto verrebbero tagliate, di preciso, le pensioni? Secondo un calcolo riportato da Il Messaggero, un contribuente “tipo” nato nel 1956 e che andrà in pensione nel 2023, perderà circa il 2,7% sulla parte contributiva. Certo, non si tratterebbe di grosse cifre ma in una situazione in cui molti italiani sono arrivati a vendersi tutto al banco dei pegni, anche qualche decina di euro in meno appare un’enormità. Inoltre – spiega Il Giornale – ciò che determinerà l’ammontare della tanto attesa pensione saranno i coefficienti di trasformazione, ovvero parametri che variano a seconda dell’età. In parole semplici più tardi ci si ritirerà dal mondo del lavoro e più alto sarà l’assegno in quanto – statisticamente – si dovrebbe vivere di meno e, dunque, percepire l’assegno per un numero inferiore di anni. Prospettiva di vita e assegno pensionistico non sembrano essere legati da un rapporto direttamente proporzionale insomma. Andare in pensione a 57 o a 65 anni sarà molto meno conveniente che restare al lavoro fino a 71 ad esempio. Ma questa misura che ripercussioni avrà sul tasso di disoccupazione tra i giovani? A fine aprile – riportava la Repubblica – l’Italia risultava essere ultima in Europa per occupazione giovanile. Tuttavia era prima per numero di “NEET”, ovvero persone che non solo non hanno un lavoro ma che – scoraggiate – neppure lo cercano.

 

Fonte: Corriere della Sera, Il Messaggero, Il Giornale, Repubblica

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