Negozi riaperti dopo due mesi di attesa, i commercianti puntano il dito su Giuseppe Conte

Il 18 maggio molte attività commercianti riaprono i battenti. Ma le misure contenitive previste dal Dpcm espone molti al rischio di fallimento.

fase 2 commercianti in rivolta - Leggilo

Il 18 maggio è stata giornata di festa per molti italiani. Infatti la maggior parte delle attività commerciali ha potuto rialzare la saracinesca dopo mesi di lockdown. Parrucchieri, centri estetici, ristoranti, ber, negozi di abbigliamento e calzature. Nonostante ciò i problemi non si esauriscono con la riapertura. Anzi: ora inizia la fase due non solo del Coronavirus ma anche delle magagne con cui confrontarsi. Per un parrucchiere dover lavorare solo su appuntamento facendo entrare un cliente alla volta implica ingenti perdite a fine giornata. Stesso discorso per baristi, ristoratori, commercianti. E se le mura non sono di proprietà ma c’è anche un affitto da pagare allora il rischio di fallire in un batter di ciglia è davvero dietro l’angolo. E il timore di molti è che alla crisi sanitaria possa seguire una crisi economica altrettanto grave. Lo stesso primario del San Raffaele di Milano, il professor Zangrillo, recentemente, ha sostenuto che se le misure restrittive non verranno alleggerite “Chi è guarito dal Covid, morirà di fame”. Il mese scorso diversi piccoli imprenditori avevano protestato contro le misure previste dal Dpcm per la la fase due. Due parrucchieri di Padova si erano, addirittura incatenati fuori dal loro negozio.

Lo scorso 1 maggio a Milano imprenditori e commercianti si erano uniti in un’accorata protesta dalle note simboliche molto forti. Infatti si erano presentati tutti in centro con le chiavi delle loro attività in mano per “consegnarle” al sindaco Giuseppe Sala. Come a voler dire che riaprire con le misure previste dal Governo equivale a chiudere. Questo quanto aveva dichiarato alla Repubblica il portavoce dei partecipanti alla manifestazione pacifica, Alfredo Zini, a sua volta proprietario di un esercizio commerciale nella città lombarda. “Stiamo perdendo il 70% del fatturato e dovremo pure affrontare spese per mettere a norma le attività. Non ci hanno dato nessuna risposta”. E la manifestazione di Milano non fu un caso isolato: infatti, iniziative analoghe, il mese scorso, erano sorte un po’ in tutta Italia, da nord a sud.

La Sicilia ha raccontato come, il 1 Maggio, festa dei lavoratori, oltre duecento negozianti palermitani sono scesi in piazza, muniti di mascherine, per manifestare il loro dissenso nei confronti delle misure di sicurezza della fase due. L’iniziativa è stata coordinata dal consigliere comunale di Palermo, Stefano Santoro, che aveva anche lanciato un appello al presidente della regione Sicilia Nello Musmeci affinché prendesse in mano la situazione e disattendesse le norme del Governo. La protesta è stata dispersa dalla polizia, scatenando la reazione di Santoro: nessuno si è preoccupato di intervenire quando sono state le associazioni dei partigiani a manifestare in strada il 25 Aprile, ha detto. In Toscana – riferisce il Corriere della Sera – la protesta non si è svolta per strada, bensì per via telematica con la Confcommercio regionale che aveva inviato messaggi ai commercianti invitandoli a richiedere al premier Giuseppe Conte una riapertura anticipata di due settimane per prevenire ulteriori perdite nel fatturato. In Friuli Venezia Giulia la Confcommercio di Udine aveva invitato tutti a prendere parte a un flash mob su Facebook, un ultimo tentativo di farsi sentire sui social prima di scendere in piazza, come a Palermo. Ma ormai il danno, a causa del Covid o del Governo, è fatto. Ed il futuro è tutto in salita.

 

Fonte: Corriere della Sera, La Sicilia, Repubblica

 

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