300 mila migranti saranno regolarizzati al costo di 400 euro ognuno. Il Ministro si commuove

Dopo vari rinvii, arriva il Decreto Rilancio per cercare di far fronte alla crisi economica che ormai da mesi preme sul nostro Paese e in generale sul mondo intero. Nel nuovo provvedimento, anche una norma per i migranti. 

bellanova piange migranti - Leggilo

Dopo una mediazione durata ore, è arrivato il via libera per la regolarizzazione dei lavoratori migranti contenuto nel Decreto Rilancio, presentato nella serata di ieri dal Governo in conferenza stampa. Accanto a Giuseppe Conte, presente il Ministro per le Politiche Agricole Teresa Bellanova che ha presentato il provvedimento arrivando alle lacrime. Come spiega Agi, Il Ministro di Italia Viva – che nei giorni scorsi aveva addirittura minacciato dimissioni in caso di stop della regolarizzazione – ha dovuto superare l’ostruzionismo in Consiglio dei Ministri del Movimento 5 Stelle. Ma l’accordo, alla fine, è arrivato. “Ha vinto la dignità di persone che vivono in una situazione di grande difficoltà e che potranno adesso chiedere tutele nel proprio lavoro”, ha esordito il Ministro. “Un paese civile e democratico aveva il dovere di farlo, più saranno i cittadini italiani che andranno a lavorare e prima risolveremo l’emergenza di manodopera nell’agricoltura”, ha proseguito. L’Esecutivo ha previsto 1 miliardo e 150 milioni di euro per il settore agro-alimentare, tra cui 250 milioni destinati all’accesso al credito e 250 milioni per gli indigenti, che saranno gestiti dal volontariato.

Come aggiunge Il Corriere della Sera, ci saranno accurate verifiche su condanne e procedimenti penali pendenti per le domande di regolarizzazione che arriveranno al Governo, ipoteticamente tra le 200mila e 300mila. I datori di lavoro, prevede il decreto, potranno presentare una richiesta per regolarizzare lavoratori italiani o stranieri fino ad ora tenuti a nero, dietro il pagamento forfettario di 400 euro. Ciò potrà avvenire a patto che gli stranieri siano stati fotosegnalati in Italia prima dell’8 marzo 2020 e non abbiano lasciato il territorio nazionale per tutto il periodo del lockdown. Per gli extracomunitari con il permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019, si potrà pagare 160 euro per ottenere un permesso di soggiorno temporaneo della durata di 6 mesi. Se durante questi mesi si presenta un contratto di lavoro subordinato, il permesso verrà convertito in permesso di motivi di lavoro.

Un provvedimento che sta facendo discutere, con l’opposizione sugli scudi che chiede al Governo di rivedere la norma, auspicando un ritorno dei voucher giornalieri o di collegare il settore agro-alimentare alle richieste del programma del reddito di cittadinanza. Notizia accolta tiepidamente anche dai braccianti, che speravano in una intervento risolutivo e non temporaneo. Raffaele Falcone della Flai-Cgil, che si occupa dei lavoratori agricoli in Puglia, ha raccontato ad Open che molti braccianti extracomunitari sono rimasti nel limbo senza documenti a causa delle restrizioni sulla protezione umanitaria dei Decreti Sicurezza voluti dall’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini. Spiega Falcone: “C’è stata una catastrofe. Io parlo con le persone ogni giorno. Vorrebbero un contratto di lavoro, un permesso. Anche solo per tornarsene a casa”.

A causa della pandemia, e problemi legati alla grande distribuzione, si è registrato un abbassamento del salario consistente. Quello che spera il sindacato è che la nuova norma porti ad un aumento degli ispettori nei campi e nelle aziende agricole. Nei giorni scorsi, il sindacalista Aboubakar Soumahoro, ex bracciante, ha parlato della necessità di intervenire sui diritti del lavoro e non sulla regolarizzazione massiccia temporanea per le colture stagionali. Ha sintetizzato infatti Soumahoro: “Nei campi mancano i diritti, non le braccia”. L’emersione del lavoro nero è alla base della nuova norma targata Italia Viva, ma la regolarizzazione dei migranti per combattere il fenomeno è già stata applicata in passato, con risultati scadenti. Come spiega Termometro Politico, nel 2012 l’allora Governo Mario Monti introdusse una maxi sanatoria.

In quell’occasione vennero regolarizzati 134.747 migranti, ma i dati forniti dall’Inps dimostrarono come, dopo la prima rata contributiva per la regolarizzazione, quasi 100mila extracomunitari, nel giro di un anno, scomparvero completamente all’Istituto Previdenziali e, con essi, le rate di pagamento dei contributi arretrati, che diventarono crediti inesigibili per l’Ente. Tra il 2012 e il 2014, secondo i rapporti del Ministero del Lavoro, non solo non aumentarono i lavoratori dipendenti, ma si registrò una flessione. Comparando i dati sui lavoratori autonomi e sulle partenze degli extracomunitari, si dedusse che non vi furono trasformazioni contrattuali o rimpatri. Il sospetto è che questi lavoratori dipendenti utilizzarono la sanatoria per arrivare al permesso di soggiorno, per poi ritornare al lavoro nero. Allora si scoprì che il 32% dei datori di lavoro che richiedevano di poter regolarizzare i dipendenti erano extracomunitari e che venne imbastito un vero e proprio giro di compravendite di richieste, i cui oneri erano a carico dei lavoratori, con cifre che andavano dai 3mila agli 8mila euro.

Ma torniamo ad oggi e ai numeri dell’Ispettorato del Lavoro che sorprendono: nelle campagne il 90% dei lavoratori detiene un permesso di soggiorno. Quindi la regolarizzazione non sarebbe certezza, stando ai dati, di un regolare contratto di lavoro. A conferma di questa tesi si registra che in Italia si contano quasi 1 milione e mezzo di stranieri regolari in condizioni di povertà assoluta, mentre due su tre extracomunitari regolari sono sulla soglia della povertà. La regolarizzazione dei lavoratori del sommerso andrebbe a saturare un mercato già in realtà pieno: il mondo dei contratti stagionali è dove si verificano i casi più numerosi di sommerso. La sanatoria potrebbe dunque precarizzare i migranti regolari già presenti per l’aumento della domanda sul mercato.

 

Fonte: Agi, Repubblica, Il Corriere della Sera, Open, Termometro Politico

Impostazioni privacy