In casa per non contagiarci, ma quasi 6 milioni di noi ha il Coronavirus, dicono gli studi

I contagiati in Italia sono almeno 6 milioni. Lo affermano diversi studi che confermano la tesi di Angelo Borrelli dei “contagiati sommersi”, quelli, cioè, non inclusi nel conteggio giornaliero. 

Borrelli in Italia contagiati - leggilo

Sono ormai settimane che, ogni giorno, alle 18.00, la Protezione civile riferisce, nella consueta conferenza stampa, l’andamento dei contagi nel nostro Paese. I dati, specie negli ultimi giorni, fanno ben sperare. I guariti sono infatti in aumento e le terapie intensive sembrano respirare: circa il 65% degli infetti, infatti, è in isolamento domiciliare. E se i decessi sembrano essere calati, i contagi sono stabili, andando a definire quella che secondo l’Iss può dirsi la fase del plateau, cioè della discesa. Tuttavia, c’è chi mette in dubbio circa i dati riferiti da Angelo Borrelli. In Italia si fanno tamponi solo ai sintomatici e a chi ha avuto contatti diretti con una persona con il Covid 19 conclamato. Di conseguenza, ci sono gli asintomatici che non vengono inclusi nelle stime, ma anche tutti coloro a cui non vengono effettuati i tamponi.

A parlare per primo di “contagiati sommersi“, intervistato da Repubblica, fu proprio Borrelli secondo cui “il rapporto di un malato certificato ogni dieci non censiti è credibile”. Un’ipotesi confermata dal professor Carlo La Vecchia, docente di Statistica epidemiologica dell’Università di Milano, che ha coordinato un’indagine Doxa sul Covid-19. Secondo quest’ultimo, il 10% degli italiani sarebbe contagiato: sei milioni, di cui un milione nella sola Lombardia. Il lavoro, reso pubblico da La Stampa, fa riferimento a numeri imparagonabili a quelli che ogni giorno vengono comunicati.

Il team che ha svolto l’indagine ha lavorato su un campione di mille persone di età tra 18 e gli 85 anni e rappresentativi della popolazione italiana per quanto riguarda il genere, l’area geografica e le condizioni socio-economiche. Ai cittadini che hanno partecipato all’indagine, sono state fatte domande sulle loro condizioni di salute nelle tre settimane precedenti alla data della rilevazione. Ciò che è emerso, è che nelle ultime tre settimane in Italia il 14,4 per cento degli intervistati ha avuto sintomi di tipo Covid-19 e l’1,5 per cento ha avuto febbre superiore a 38,5 gradi. Guardando alla Lombardia, le percentuali aumentano ulteriormente e raddoppiano. Inoltre, la percentuale di soggetti che hanno riferito sintomi di tipo Covid19 è più alta fra le donne, i giovani, i fumatori e le persone con un’istruzione superiore.

Secondo gli studiosi, è possibile che buona parte dei sintomi sia dovuta a Covid 19. Non solo. Anche ipotizzando che solo la metà dei sintomi segnalati sia riconducibile a Covid-19, circa l’8 per cento della popolazione in Italia e il 10 per cento in Lombardia sarebbero stati affetti da Covid19 nelle tre settimane precedenti la raccolta dati. Si spiega così il dato dei 5 milioni di italiani che potrebbero essere affetti da Coronavirus e un milione nella sola Lombardia. Ma le cifre potrebbero essere addirittura raddoppiate se supponessimo che la maggior parte dei sintomi simili a quelli di Covid19 siano effettivamente correlata a Covid19.

“Gli infetti reali, almeno 5 milioni”

In sostanza, i dati indicano che, anche ignorando i casi asintomatici, l’epidemia potrebbe aver colpito una parte sostanziale della popolazione italiana entro la fine di marzo, certamente superiore di un ordine di grandezza, e forse anche di due, rispetto ai casi registrati. Allo studio del professor Carlo La Vecchia, si affianca ora un paper di dodici studiosi italiani: “The Covid-19, infection in Italy: a statistical study of an abnormally severe disease”. Secondo lo studio, al 25 marzo scorso – quando erano emersi “solo” 74.300 mila casi positivi – gli infettati reali in Italia potevano essere ricompresi  in un range tra 600 mila e 3,3 milioni di persone. Oggi, quindi, seguendo la curva della crescita, i positivi sarebbero 5,2 milioni.

Cifre ribadite anche nello studio “An abnormally severe disease”, coordinato dal professor Giuseppe De Natale, ribadisce le cifre – 5-6 milioni – dell’indagine Doxa del professor La Vecchia. “Sono numeri sufficientemente alti per mettere a rischio i sani, troppo bassi per garantire l’immunità di gregge”, ha spiegato lo statistico della Statale. L’immunità di gregge prevede il 60-70 per cento di colpiti e, quindi immunizzati per consentire una tutela per tutti i residenti. Di conseguenza, secondo questi ultimi studi riportati da Repubblica, al 6 aprile gli affetti da Coronavirus sono stimati tra cinque e sei milioni.

Secondo gli studiosi dell’Università Federico II di Napoli e dell’Università di Zurigo, i casi italiani sono fortemente sottostimati. Inoltre, si analizza la letalità specifica del nostro Paese – 12 per cento nel rapporto contagiati-deceduti, con percentuali maggiori in Lombardia – con quelle intorno al 4 per mille di Germania, Austria, Norvegia, Irlanda e Australia e una letalità media dell’1-2 per cento riscontrata negli Stati Uniti, in Danimarca, Belgio e Portogallo. Il rapporto dovrebbe essere, secondo gli studiosi, un morto ogni cento contagiati. Eppure, così non è. Le cause, sono ancora tutte da approfondire.

Questi lavori sono in linea con lo studio europeo realizzato lo scorso 30 marzo dagli epidemiologi dell’Imperial College di Londra: l’università inglese attribuisce al nostro Paese un’infezione diffusa pari al 9,8 per cento medio: poco più di sei milioni di italiani. Vi sono, ancora, monitoraggi di società private che, con campioni ridotti, portano il livello del contagio al 38 per cento, come la Meleam di Bitonto. Anche la Fondazione Gimbe ha stimato che oggi in Italia ci sarebbero 208.360 casi. Si tratta di persone che attualmente stanno a casa, magari con qualche linea di febbre o addirittura senza alcun sintomo, eppure contagiate dal virus. Persone che sfuggono alle statistiche della Protezione civile e anche allo monitoraggio della popolazione che arriva dagli ospedali. Ma, soprattutto, aggiungere ai calcoli il 65% dei casi che oggi sono sommersi rende più verosimile il tasso di letalità della malattia: se secondo le statistiche si aggira attorno al 10,1%, aggiungendo i sommersi si abbassa drasticamente al 3,9%. Più contagiati, infatti, modificano il tasso di mortalità.

Fonte: Repubblica, La Stampa

 

 

 

 

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