Coronavirus: muore, viene cosparsa di disinfettante e portata via. Ma prima è riuscita a salutare i figli

Ha salutato i suoi quattro figli in videochiamata. Poi, è morta. E’ una delle tante storie di dolore che arriva, questa volta, dall’ospedale San Luigi di Orbassano. 

Malati Coronavirus - Leggilo.org

 

La tecnologia ci unisce, ci fa sentire meno distanti, ci permette di comunicare anche quando siamo tutti lontani. Lo stiamo vedendo in questi giorni. Il mondo è sempre più diviso, ma sempre più connesso. Gli smartphone, le chiamate, i computer, oltre ad essere servizi essenziali per alcuni lavori – come lo smartworking o la didattica a distanza – riescono anche a colmare i vuoti. E, dagli ospedali, si rivelano essere mezzi utili, gli unici possibili, per un ultimo saluto. Questo è quanto accaduto ad una donna, ricoverata all’ospedale di Volvera, in provincia di Torino, che è riuscita a salutare i suoi quattro figli in videochiamata.

A raccontare l’esperienza è stata un’infermiera del San Luigi di Orbassano, che ha scritto una lunga lettera al Primo Cittadino, che a sua volta ha condiviso su Facebook la testimonianza della donna. “Questa sera ho ricevuto un lungo testo scritto da una nostra concittadina, una testimonianza diretta, scritta proprio per noi, per sensibilizzarci e per farci capire cosa stiamo rischiando“, comincia il Sindaco. Poi, la lunga e straziante lettera ricevuta dall’infermiera che inizia descrivendo la sua giornata tipo.

Per la donna, così come per quasi tutto il personale sanitario impegnato nell’emergenza, non esiste quarantena, non esiste il divieto ad uscire, non esiste il riposo; esiste l’obbligo di recarsi a lavoro, con turni di 12 ore, senza riposo. Il reparto dove sono ricoverati i pazienti positivi è blindato, per entrare bisogna vestirsi adeguatamente indossando i dispositivi di protezione. I pazienti – questa la scena descritta dalla dipendente – hanno un casco sulla testa, il c-pap, dispositivo che serve per respirare meglio. Tra questi pazienti, c’è una donna che ha attirato l’attenzione dell’infermiera. “Non ha molte speranze, è cosciente, lucida e orientata, non mangia da giorni e ha uno sguardo implorante. Sa che sta per morire”, racconta l’infermiera. Mentre le sistema i cavi dei parametri vitali, la paziente le prende la mano. Il suo desiderio, l’ultimo, è parlare con i suoi quattro figli.

Uno dei figli della donna, che si era recato in ospedale per assistere la madre, non è potuto entrare nel reparto. Pertanto, la donna, come alti pazienti, è sola e non può vedere nessuno. “Alla signora viene detto che dovrà essere intubata presto e che non ha molto da vivere. Il figlio, a telefono, chiede di poterla vedere per un ultimo, breve saluto. Ma non è possibile”, scrive ancora l’infermiera. A quel punto, la dipendente chiede al figlio della paziente di radunarsi insieme agli altri fratelli, indossando mascherine e videochiamando sul suo cellulare. “Così, vi farò vedere mamma”, dice loro l’infermiera.

La chiamata dura circa mezz’ora, ed è come se un cerchio si fosse chiuso. Dopo poco, la paziente muore, viene cosparsa di disinfettante, avvolta in un lenzuolo e portata in camera mortuaria. Dunque, se noi che siamo a casa soffriamo, privati della libertà ma dotati della vita, c’è chi sta peggio. L’obiettivo del racconto era quello di portare all’attenzione delle persone costrette a rimanere a casa situazioni ben peggiori delle loro. La lettera si conclude con un appello a tutte quelle persone che ancora non comprendono le conseguenze peggiori di questa pandemia: “A casa apri Facebook. Lamentele ovunque. Vi hanno negato la libertà, il bimbo non può andare più al parco, il cane passeggia troppo in là da casa e non si trova più lievito. Quanta ignoranza, quanti pochi problemi ha la gente”, conclude.

https://www.facebook.com/ivan.marusich/posts/10219439174844135

Questa, purtroppo, non è l’unica storia tragica che arriva dagli ospedali impegnati in prima linea nell’epidemia da Covid-19. Come scrive La Stampa, Noemi Bonfiglio, infermiera del Reparto di Terapia Intensiva dell’Ospedale del Martini di Torino, ha assistito ad una scena straziante, raccontata in lungo post di Facebook. L’infermiera racconta di una video chiamata tra una madre affetta da Covid-19 e sua figlia. Una figlia disperata che intima alla madre di non mollare, di essere con lei, pur distante.  “Io lì accanto, dietro la mia mascherina a provare brividi e lacrime di unica emozione. Probabilmente questa è stata l’ultima volta in cui una mamma ha potuto vedere sua figlia e le ha potuto dire ti voglio bene”, scrive Noemi. Un momento drammatico che non lascia speranze, che fa capire che quei numeri, quei decessi conteggiati ogni giorno come un lungo elenco, sono in realtà madri, padri, nonni e zii. Sono persone. Non solo morti e bilanci.

Scrive l’infermiera torinese: “Non auguro a nessuno di vedere ciò che sto vedendo in ospedale nelle ultime settimane. Se aveste visto, direste quel ‘ti voglio bene’ in più”. E conclude: “Sarebbero in molti ad essere più comprensivi col prossimo. E sono sicura che sarebbero in molti a cominciare a fare la cosa giusta. E non perché glielo impone un Decreto”.

Fonte: Ivan Marusich Facebook, La Stampa

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