Naufragio a Lampedusa: due ufficiali della Guarda Costiera italiana rinviati a giudizio

Naufragio Lampedusa: due ufficiali, Leopoldo Manna e  Luca Licciardi sono rinviati a giudizio per rifiuto di atti d’ufficio e omicidio colposo.

strage lampedusa

Era l’11 ottobre 2013 quando al largo delle coste di Lampedusa è avvenuta la più grande strage di migranti nelle acque del Mediterraneo. Un peschereccio crivellato di colpi con a bordo 480 profughi siriani tra cui 100 bambini è affondata a 61 miglia a Sud di Lampedusa. I morti sono stati 268, di cui 60 bambini, molti dei quali mai più recuperati. A bordo c’era il dottor Mohanad Jammo che nella disperazione aveva provato a chiamare la Guardia Costiera con il telefono satellitare.  La sua voce, nel racconto “Il naufragio dei bambini” pubblicato da L’Espresso e Repubblica, ha fatto il giro del mondo: “La barca sta andando giù, ti giuro, c’è circa mezzo metro d’acqua nella parte bassa. Stiamo morendo, per favore”. E ufficiale nella sala operativa della Guardia costiera italiana gli aveva risposto “Vai, vai, chiama Malta. Loro sono lì, sono vicini”. Invece non era vero

Naufragio Lampedusa ottobre 2013: i fatti

Non era vero perché la nave più vicina era un pattugliatore italiano, Libra, che si trovava a poche miglia, meno di un’ora e mezzo di navigazione. Malta era a 118 miglia. Lampedusa a 61. Il mare quasi calmo. Eppure il Comando in capo della squadra navale, il Cincnav, ha ordinato a nave Libra della Marina militare italiana di spostarsi e di aspettare le motovedette libiche. E’ Luca Licciardi – come riporta Repubblica.it – capo sezione attività correnti della sala operativa del Cincnav ad ordinare alla nave italiana di togliersi di mezzo. Ecco perché il mezzo capitanato da Catia Pellegrino  – che non sapeva nulla – si è allontanato.

Dopo 5 ore di tentativi inutili dalla prima richiesta alla Guardia Costiera, il peschereccio si è rovesciato alle 17.07. Nella strage il dottor Mohanad Jammo  ha perso due dei tre figli,  Mohamad, 6 anni, e il fratellino Nahel, 9 mesi. “Penso che ci abbiano lasciati affondare e che credessero che così poi nessuno avrebbe raccontato la storia. Non mi so dare altre spiegazioni” aveva detto in un’intervista del 2017 a Repubblica. Soltanto alle 17.51 la motovedetta maltese –  il pattugliatore P61 –  è arrivato sul punto del disastro, Libra solo alle 18.

Soltanto grazie alla tenacia di un giornalista de l’Espresso, Fabrizio Gatti che ne ha scritto sul proprio mensile,  la strage – destinata ad essere senza colpevoli – ha avuto un procedimento aperto, visto che inizialmente la procura di Agrigento e di Roma avevano inizialmente chiesto l’archiviazione. Attualmente sono infatti rimandati a giudizio per il prossimo 3 dicembre ufficiale responsabile della sala operativa della Guardia Costiera, Leopoldo Manna, e appunto il comandante della sala operativa della Squadra navale della Marina, Luca Licciardi. La telefonata del dottor Jammo – che attualmente si è rifatto una vita in Germania dove è tornato a fare il medico – è stata infatti inequivocabile: “Le informazioni che il dottor Jammo riferisce al tenente di vascello Clarissa Torturo, 40 anni, l’ufficiale di servizio alla centrale di Roma, sono inequivocabili e ben comprese – scrive Gatti nel 2017 –  riporta l’Espresso. Tanto che l’allora comandante della Guardia costiera, l’ammiraglio Felicio Angrisano, le riporta in una lettera inviata a L’Espresso nel 2013: ‘Ore 12.39… presenza a bordo di due bambini bisognevoli di cure… unità che con motore fermo, imbarca acqua’, scrive l’ammiraglio. A quell’ora Jammo dice che l’acqua nello scafo ha raggiunto il mezzo metro. Difficile sostenere che non si sappia del pericolo”.

 

Fonte: Repubblica, Espresso

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