“Non avete una vita. Per questo vi interessate agli altri”

La “storia è nota” direbbe qualcuno. E quindi bastano pochi cenni per raccontarla. Marco Carta, cantante di origini cagliaritane, 35 anni da qualche giorno. Non proprio un ragazzino. All’inizio del secolo scorso a quell’età si rischiava di essere già nonni. Nei secoli precedenti già morti.

E invece Marco Carta è vivo ed è in ottima salute. Adesso, ad esempio, è a Mykonos che si diverte, come dicono i bene informati. E a lui non dispiace che si sappia. Come non deve essersi mai dispiaciuto, in questi dieci anni di successo, di venire riconosciuto e fermato. Venerdì scorso è stato prima fermato e dopo riconosciuto, forse. Ed è lì il problema, per una volta. Perché prima qualcuno lo aveva visto, in realtà, e lo aveva riconosciuto come ladro, non come cantante di successo. Si aggirava in pieno Black Friday alla Rinascente di Milano, con un’amica, e ha attirato l’attenzione delle security, perchè i due, 35 anni lui, 53 lei, 88 anni in due, rubacchiavano come ragazzini, informa Il Corriere della Sera. Chi è senza peccato scagli la prima pietra, certo. Ma se è accaduto a qualcuno di noi cimentarsi in queste idiozie questo qualcuno ha avuto almeno le attenuanti generiche della giovane età e della noia, anche. La noia preadolescenziale che vede una via d’uscita nell’adrenalina a buon mercato di un piccolo furto. Ma il punto è: Marco Carta, che nella vita fa quello che ama e lo fa con successo si annoia? E’ difficile crederlo e, se fosse, potrebbe inventarsi altro, invece di fingere con se stesso di avere vent’anni di meno, quando sognava di essere un cantante di successo. Ora che lo è diventato sogna di essere un quindicenne e si comporta come tale.

Ma questa, a conti fatti, non è la parte peggiore. Perché ha fatto di peggio, Carta,  incartatosi in sé stesso. E’ uscito dall’aula del Tribunale con un sorriso affilato ed un pallore mortifero dicendo ai cronisti che era tutto chiarito. Lui non ha fatto nulla. Ha glissato su una circostanza importante, chi fosse la donna fermata insieme a lui, fingendo di non conoscerla e nello stesso tempo lasciando ben intendere che la colpevole era lei. Ha sigillato questa piccola manfrina motteggiando: “Chi fa la spia non è figlio di Maria“. Insomma il regresso continuava, dai quindici anni Marco se ne ritrovava dieci. E da bravo bambino invece la spia l’aveva fatta, eccome. Dopo è andato a casa e, per quello che ha combinato dopo, ci si meraviglia che sia arrivato alla maniglia di casa. Perché l’idea che ha avuto è stata degna di un bambino di sei: ha scritto sui profili social, cadendo dal pero e proclamando la propria innocenza, come se si fosse trattato tutto di un equivoco chiuso lì. Del processo a settembre neanche una parola. Nelle ore successive si è preoccupato di piangere sulla spalla di Barbara D’Urso e di fare le valige per Mykonos. Ora  si sta divertendo, settembre è lontano.

Si diverte meno l’amica Fabiana Muscas, da lui rinnegata in un baleno, quando le cose si mettevano male. Lei non è a Mykonos: da comune mortale è dovuta tornare alla vita ordinaria, lei. E quindi si nasconde, comprensibilmente, con qualcuno che va al citofono al posto suo e i colleghi di lavoro che non la vedono da giorni.

Il padre di Fabiana

A difendere Fabiana ci ha pensato il padre Gesuino Muscas, 87 anni, sposato da 65, tre figlie. Ha parlato con l’Unione Sarda. E per farlo lui, un uomo con quasi un secolo sulle spalle, per arrivare a vincere pudore, ritrosia e stanchezza pur di fare scudo alla figlia, vuol dire che la vergogna è tanta. Lui non sorride ai giornasiti. Lui, Gesuino, con quel nome che sa di passato rurale e poche parole, ora è stavolto grazie ad un ragazzino di 35 anni. Sì, Carta, che ha trovato il sorriso utile per attraversare il corridoio del Tribunale e uscire: con la stessa rapidità con cui tentava defilarsi dalla Rinascente prima e vorrebbe andarsene da questa storia. ora. “Mia figlia si è presa la responsabilità per salvare lui” ha detto Gesuino senza sorridere: “è una ragazza riservata, onesta – ha continuato – Abita con noi, è in ferie e non è ancora rientrata. Per quel che sapevamo doveva andare a Roma a incontrare alcuni amici, è partita venerdì. Doveva restare lì una settimana”. Invece è arrivata a Milano. “Forse ha raggiunto Carta. Non sapevamo nulla. È sua amica da anni, oltre a essere sua fan. Frequenta la sua casa, le sorelle. Non so come si siano conosciuti“. E’ sua amica da anni, dice il padre. E questa circostanza spiega molte cose, in un senso o in un altro. Perchè non è così difficile immaginare lui che vuole fare la ragazzata a tutti i costi e lei che, con affettuosa deferenza e soggezione, non riesce a farlo desistere e, alla fine, lo asseconda. Perchè? Per dimostrare una volta di più la sua amicizia. Lei, una qualsiasi, ora può condividere intiimità e segretei adolescenziali con Marco Carta in persona. Le magliette erano per lei? Non scherziamo. E non è difficile immaginare lui che la implora, dopo che li hanno sorpresi. “Ti prego, se si sa di questa cosa per me è una rovina” potrebbe aver detto lui, chiedendole un’altra prova di amicizia, una prova di amicizia vera. Ed ecco che lei diventa la ladra.

Se ora Fabiana si è chiusa in casa Marco è stato preso di mira sui social. E il motivo è ben intuibile: non per il furto in sé ma proprio per quella pantomima con il sorrisetto all’uscita del Tribunale. Per la presunzione di essere abbastanza scaltro da poter rigirare il proprio pubblico con un post in cui faceva l’anima candida, quando non era stato abbastanza intelligente da capire che certe cose non si fanno. Perché hai 35 anni, non ne hai bisogno. Perché, meritatamente o meno, sei stato baciato dalla fortuna e con la vita sei in debito. Perché non hai fatto una sciocchezza d’impulso: hai avuto il tempo di ragionare, se il senno non ti fa difetto. Perché non puoi vivere due vite parallele: il cantante famoso e il ragazzino, senza pagare dazio. E il prezzo da pagare è che le stesse persone che Marco Carta ha ritenuto di poter rigirare con una pantomima social vedono ora in lui un ragazzino idiota che, fortuitamente, è diventato un cantante famoso. Ed ecco che la fortuna, improvvisamente, appare immeritata.

Qualcuno difende Marco Carta 

Qualcuno lo difende tuttavia e, dal vortice imbarazzante di viltà  e banalità di quel Venerdì Nero trae argomenti per additare non Carta, ma chi ha malamente commentato la vicenda su social, trattando il cantante come “spregevole ladruncolo“. A difendere Marco Carta ci pensa Wired e si rimane ammirati – davvero – perché è sempre lodevole difendere la persona sola dal linciaggio. Ma a non convincere qui, sono gli argomenti. Perché Wired nobilmente non giudica l’episodio e le sue evidenze – e per evidenze non intendiamo il furto, ma il contegno sgradevole di un uomo famoso che fino a venerdì la comune mortale Fabiana Muscas credeva di avere come amico. Wired giudica ” la malcelata soddisfazione …di quanti hanno in qualche modo goduto per il passo falso vero o presunto dell’artista“. Così scrive Wired e si pone una domanda: “perché ci piace tanto vedere le celebrità fallire?” l’autrice del pezzo arriva alla conclusione in un attimo: “i commenti dicono molto noi … evidenziando la nostra irrazionale gelosia”. Una gelosia irrazionale, spiega Wired, perché non si dovrebbe essere gelosi di un estraneo. E tuttavia: “questa distanza non ci ferma e davanti alle persone famose che hanno soldi e successo. Una parte di noi prova un moto d’invidia che non può che trovare soddisfazione al primo passo falso del vip“. Questo è un motivo e non è il solo, dice Wired: “siano aspiranti giustizieri mascherati” speriamo “in una sorta di giustizia divina che prima o poi colpisca chi non riteniamo meritevole del successo raggiunto” . Wired conclude dopo queste facili premesse ribaltando la prospettiva: “discutere, e potenzialmente incidere, sul successo altrui, resta pur sempre molto più facile e rapido che costruirsene uno personale“.

“Siete invidiosi del suo successo”

Le considerazioni a monte sono condivisibili; la conclusione di Wired, tuttavia, è pessima e imperdonabile. Perché in buona sostanza a chiunque abbia commentato la disavventura di Carta Wired dice: “fatevi una vita, sfigati” con un fendente molto simile, per stile e sostanza, ai commenti peggiori rivolti al cantante.

E qui Wired sbaglia, non poco, a nostro parere. Perché esistono logiche e regole: la stampa e un cantante si abbeverano, in forma diversa alla stessa sorgente, velenosa o meno: vivono di pubblico.  L’autrice del pezzo aspira, legittimamente, ad esser letta, e anche noi. Un cantante vuole essere ascoltato, certo. Pensiamo a Marco Carta, allora: il “successo personale” non è sceso dall’alto ma gli è arrivato dal basso, dalle persone, incapaci, secondo Wired di “costruirsene uno personale“. Queste persone dovrebbero applaudire quando chiamati a farlo, accomodarsi silenziosamente all’uscita se la loro presenza non è richiesta. Non funziona così: ci sono dei privilegi nel successo e anche dei rischi, sopratutto quando il successo è ottenuto andando a toccare il difficile meccanismo dei sentimenti e delle emozioni: chi si commuove per una canzone e si immedesima in quello che canti – e chi canta vuole suscitare questa fiducia piena di sentimenti – potrebbe sentirsi tradito nel saperti fermato fuori dalla Rinascente come un ladruncolo qualunque. Perché quando ci si lascia commuovere da un canto si è tutt’uno con la persona che canta: la distanza si annulla e lui non è più un estraneo. E’ ingenuo forse, ma è così.

I due errori di Marco Carta

Quindi il tema sottinteso qui non è l’invidia sociale ma piuttosto, la fiducia tradita. Le persone si son sentite tradite, come Fabiana Muscas, e si sono immedesimate in lei, semmai, che aveva un amico famoso che è stato capace di tirarla giù in un attimo per salvarsi e continuare a fare la sua bella vita. Poteva dire, da comune mortale: “ho fatto una stupidaggine“. Perché se si è comuni mortali nell’errore lo si è anche nel chiedere scusa, Non si può pretendere di essere ladruncoli dentro i camerini della Rinascente e piccoli divi davanti ai microfoni.

E qui c’è stato il secondo errore da parte di Marco Carta, non meno grave del primo. Quello di rivolgersi ai followers sui social – dopo che la notizia era diventata di dominio pubblico non prima – dicendo solo quello che voleva dire, fingendo un’innocenza che un giudice ha ritenuto non fosse affatto evidente, non ancora. Il punto, caro Wired, e che per quanto “sfigati senza successo” non ci si può rivolgere  al pubblico chiedendo applausi a comando se si è indifendibili e, nello stesso tempo, pretendendo riservatezza per gli aspetti che più ci mettono a disagio. Prendere o lasciare. Se batti un colpo sui social in quel modo furbesco e semplicistico non aspettarti manna da cielo, ma grandine. Un gioco facile ne nasconde uno complesso appena le coordinate cambiano. E venerdì sera erano cambiate. Bastava capire almeno questo se non si era stati così accorti da capire che la sicurity si era accorta di noi. Le persone si possono considerare pecore e trattare con snobismo, certo. Ma, quando la faccenda si fa spinosa, allora è meglio tenerle al di la del filo spinato.

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Fonte: IL Corriere della Sera, Unione Sarda, Wired

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