“Se quel giorno Said fosse stato in carcere, Stefano sarebbe ancora vivo”

Said Mechaquat, l’assassino di Stefano Leo, era stato condannato il 20 giugno 2016 a un anno e sei mesi di reclusione per maltrattamenti aggravati, lesioni e minacce nei confronti dell’ex compagna Ambra.

Said non era un migrante da curare – o meglio non era solo da curare – come ha sostenuto il giornalista Gad Lerner nella sua tesi sommessamente assolutoria. Said era un migrante condannato e quindi da rinchiudere in cela. Il ribaltamento di prospettiva voluto da Lerner teso a colpevolizzare gli altri – coloro che no si sarebbero presi cura della salute mentale di Said  – e a disconoscere l’orrore compiuto e il dolore arrecato, fallisce miseramente.

E ora non si danno pace i familiari di Stefano Leo, il commesso di 34anni accoltellato sul lungopò Machiavelli, in zona Murazzi, a Torino, sabato 23 febbraio. Accoltellato perchè il suo assassino Said Mechaquat cercava qualcuno che fosse italiano, bianco e felice“, mentre lui era triste e depresso a causa della fine della relazione con la sua ex-moglie, italiana, con cui aveva avuto un figlio.

Said, marocchino neutralizzato italiano, girava libero per le strade ma sarebbe dovuto essere in carcere, condannato per maltrattamenti in famiglia. Gli ispettori del Ministero cercheranno di far luce su cosa sia andato storto, su cosa abbia permesso a Said Mechaquat di essere libero, nonostante una sentenza mai messa in atto, come riportato da Il Corriere della Sera. Risaliva al 20 giugno 2016 la condanna per il marocchino a un anno e sei mesi di reclusione per maltrattamenti aggravati, lesioni e minacce nei confronti dell’ex compagna Ambra. il pm Stefano Castellani, l’accusa, aveva chiesto e ottenuto che la pena non fosse sospesa perché l’imputato aveva altri precedenti. Anche il piccolo della coppia aveva subito maltrattamenti, pertanto le eventuali sospensioni o misure alternative, erano inapplicabili.

Eppure, l’ordine di carcerazione non è mai stato emesso: la sentenza di condanna irrevocabile si è fermata in Corte d’Appello il 18 aprile 2018 senza arrivare all’ufficio esecuzioni della Procura. l’avvocato Fabrizio Reale, che nel processo per maltrattamenti aveva assistito Ambra, ha detto di credere che tutto fosse tranquillo e che l’iter giudiziario fosse ancora in corso: “In realtà, dopo che Mechaquat si è consegnato e ha confessato l’omicidio di Stefano Leo”, spiega il legale, “la mia assistita mi ha contattato raccontandomi di aver personalmente presentato altre denunce contro di lui in questi anni. Purtroppo nessuna ha sortito l’effetto di riaccendere l’attenzione su questo caso”. 

Per ora nessuna parola arriva dalla Procura generale né dalla Procura ordinaria che avrebbero dovuto ricevere gli atti per disporre l’ordine di carcerazione. Di fatto se la giustizia avesse fatto il suo corso, ripetono i familiari di Stefano, e se quel giorno Said fosse stato in carcere, Stefano Leo sarebbe ancora vivo.

La risposta del Giudice

Intanto, il Presidente della Corte d’Appello di Torino, Edmondo Barelli Innocenti, ha detto la sua su quanto accaduto. “Come rappresentante dello Stato mi sento di chiedere scusa alla famiglia di Stefano Leo“. Il Giudice si è detto rammaricato per quanto successo, aggiungendo che qualcosa nella macchina della giustizia non ha funzionato a dovere. Risulta infatti un ritardo nella trasmissione degli atti dalla Corte alla Procura. Intanto, l’esecutivo vuole capirci meglio e per questo gli Ispettori inviati dal Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede cercheranno di fare chiarezza.

Fonte: Il Corriere della Sera

Impostazioni privacy