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Salute e Benessere

Alzheimer, il sintomo che arriva con circa 48 mesi di anticipo: i medici ci mettono in guardia

Il morbo di Alzheimer è una delle malattie più devastanti del nostro tempo, colpisce circa 600.000 persone solo in Italia e, fino ad oggi, è stata difficile da prevedere prima che si manifestino i sintomi più evidenti. Tuttavia, una nuova scoperta potrebbe cambiare radicalmente questo scenario. Un team di ricercatori dell’IRCCS Santa Lucia di Roma, in collaborazione con l’Università Campus Bio-Medico e altre prestigiose istituzioni, ha messo a punto un metodo che potrebbe permettere di individuare la malattia due anni prima dell’esordio clinico. Si tratta di una scoperta che apre nuove prospettive per pazienti e famiglie, e offre una preziosa finestra temporale per intervenire prima che la malattia diventi irreversibile.

Il nuovo studio si è focalizzato sull’area tegmentale ventrale (VTA), una piccola regione del cervello che produce dopamina.

La piccola regione cerebrale che nasconde grandi indizi

Lo studio si è concentrato su una piccola ma fondamentale area del cervello, chiamata area tegmentale ventrale (VTA). Questa regione, che ospita tra 600.000 e 700.000 neuroni ed è responsabile della produzione di dopamina, non è tradizionalmente associata all’Alzheimer. Tuttavia, i ricercatori hanno scoperto che i danni ai circuiti dopaminergici in questa zona possono rappresentare un segnale di allarme precoce, anticipando di ben 24 mesi il danneggiamento di altre aree cerebrali più direttamente legate ai sintomi della malattia.

Ciò che rende questa scoperta così importante è la possibilità di agire tempestivamente. Secondo gli autori dello studio, la compromissione dei circuiti della VTA può essere individuata attraverso neuroimmagini funzionali e test neuropsicologici, metodi non invasivi e completamente indolori. Questo permetterebbe di monitorare da vicino i pazienti a rischio, offrendo la possibilità di interventi terapeutici anticipati.

Un cambiamento nella diagnosi precoce dell’Alzheimer

Questa nuova ricerca, pubblicata sul prestigioso Journal of Alzheimer’s Disease, ha testato 35 pazienti con disturbo cognitivo lieve, una condizione che spesso rappresenta il preludio alla demenza. Nel corso di 24 mesi, i ricercatori hanno monitorato l’attività della VTA, osservando che, nei pazienti che in seguito hanno sviluppato l’Alzheimer, la connettività di questa piccola area cerebrale verso altre regioni critiche si è ridotta in modo significativo. Al contrario, nei pazienti che non hanno sviluppato la malattia, la funzione della VTA è rimasta invariata.

L’ alzheimer è la malattia del secolo – Leggilo.org

Secondo il dottor Marcello D’Amelio, coordinatore dello studio, già nel 2017 si era individuata la VTA come una delle prime aree colpite nel decorso dell’Alzheimer. Questo nuovo passo avanti conferma l’importanza di monitorare la VTA non solo come indicatore di rischio, ma anche come potenziale target per nuove terapie mirate. La scoperta non solo permette di diagnosticare la malattia con maggiore precisione, ma offre anche una preziosa finestra temporale in cui farmaci e trattamenti possono essere somministrati prima che i danni cerebrali diventino troppo gravi.

Le implicazioni per il trattamento del morbo di Alzheimer

Il morbo di Alzheimer, fino ad oggi, è stato trattato solo nelle sue fasi iniziali, e i farmaci disponibili possono solo rallentare la progressione della malattia, senza curarla. Tuttavia, se siamo in grado di prevederne l’insorgenza con due anni di anticipo, questo potrebbe cambiare completamente il modo in cui trattiamo la malattia.

La dottoressa Laura Serra, coautrice dello studio, ha sottolineato che questa scoperta apre nuove strade per interventi terapeutici più tempestivi, permettendo ai medici di agire prima che i sintomi diventino evidenti e irreversibili. Per le famiglie, significa avere più tempo per prepararsi, per pianificare il futuro e per cercare le migliori opzioni di trattamento.

Eppure, questa scoperta non è solo una speranza per coloro che si trovano già ad affrontare il morbo di Alzheimer, ma anche un invito alla ricerca preventiva. La possibilità di monitorare il cervello e rilevare segnali di rischio potrebbe portare a nuovi programmi di screening, che potrebbero essere utilizzati per identificare pazienti a rischio anche prima che i primi sintomi si manifestino.

Cosa possiamo aspettarci dal futuro?

La lotta contro l’Alzheimer è ancora lunga e complessa, ma questo studio rappresenta un passo avanti importante nella diagnosi precoce e nella comprensione dei meccanismi che scatenano la malattia. La ricerca neuroscientifica continua a progredire, e con il tempo potremmo vedere nuovi trattamenti sempre più efficaci per rallentare, o addirittura prevenire, la comparsa dell’Alzheimer.

Per ora, questa scoperta offre una nuova speranza, sia per i pazienti che per le famiglie, che ogni giorno lottano contro questa terribile malattia.

Pubblicato da
davide

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