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Politica

Conte cambia idea: pronto a dimettersi, ma per diventare Premier un’altra volta

Dopo giorni passati a tentare di allargare la Maggioranza a sostegno del Governo in carica, il Premier Conte apre all’ipotesi di dimettersi per ricevere un nuovo incarico. 

Giuseppe Conte/Alessandra Tarantino, Getty Images

Una mossa per cercare di riaprire il negoziato con centristi e responsabili, così da rimanere a Palazzo Chigi. E’ questa la strategia del Premier Giuseppe Conte, che dopo aver constatato il fallimento del tentativo di allargare la Maggioranza a sostegno del Governo in carica, prova a cambiare approccio. “Il mio obiettivo è un accordo che dia una limpida prospettiva politica al Governo sino alla fine della legislatura“.

Un salto in avanti che punta a rinforzare la propria leadership, mai così in bilico dopo l’addio di Italia Viva. E che potrebbe aver ottenuto i risultati sperati: un nuovo gruppo al Senato sarebbe pronto. Unica condizione: le dimissioni del Presidente del Consiglio, così da aprire la strada ad un nuovo Esecutivo, guidato ancora una volta dall’avvocato. Che  è rimasto fino all’ultimo barricato sulla propria posizione di rifiuto delle dimissioni, temendo che potessero materializzarsi trappole che gli sbarrassero la strada per il terzo Governo – con tre Maggioranze diverse – in poco più di tre anni.

Una giornata intensa, quella di ieri, al termine della quale l’avvocato ha dato il suo ok al nuovo piano: le dimissioni potrebbero essere rassegnate già domani. A patto che il nuovo gruppo parlamentare prenda vita in tempi brevi, abbastanza rapidamente da presentarsi al Quirinale per offrire il proprio sostegno al Conte ter. “Ora è il momento di continuare a lavorare per il programma annunciato in modo chiaro e trasparente in Parlamento“, ha detto il Premier.

Le prime aperture verso l’ipotesi dimissioni, il Presidente del Consiglio le aveva fatte già ieri mattina, quando interpellato sulla possibilità di salire al Colle martedì non aveva negato la possibilità: “In questo momento sono premature valutazioni risolutive di qualsiasi genere“, aveva ammesso. Importante, secondo le ricostruzioni, il ruolo giocato da Bruno Tabacci, che ormai da una settimana insisteva su un punto: i nuovi eventuali sostenitori del Governo non potranno mai manifestarsi senza il fondamentale passaggio dimissioni-reincarico. Questo perché un nuovo Esecutivo sarebbe l’unico modo per dare dignità e visibilità ai nuovi alleati, che – inutile girarci intorno – dall’ingresso in Maggioranza contano di ottenere incarichi governativi, tra dicasteri e sottosegretari.

A questo, nella giornata di trattative di ieri, si sono aggiunti ulteriori elementi. Prima di tutto, il caso Bonafede: sulla relazione del Ministro della Giustizia il Governo rischia, mercoledì, di ottenere ancora meno voti dei 156 sì raccolti per la fiducia della scorsa settimana;  il Guardasigilli non è particolarmente gradito – eufemismo – a Italia Viva e Centrodestra, che in questa fase rappresentano gli interlocutori fondamentali delle trattative per la formazione di un nuovo gruppo contiano in Senato. Se a questo si aggiungono mal di pancia emersi anche da PD e parte del Movimento 5 Stelle, lo sgambetto a Bonafede – vicinissimo al Premier – potrebbe diventare ipotesi più che concreta.

Per evitare il rischio di incappare in passaggi parlamentari fallimentari, quindi, la decisione è stata quella di giocare d’anticipo: se il Governo andasse sotto sulla Giustizia, infatti, la figura di Conte sarebbe meno spendibile in vista di un terzo incarico. E allora meglio dimettersi prima che sia troppo tardi – martedì – facendo saltare la pericolosissima verifica in Aula, come per altro già avvenuto in passato: nel 2008, nel 2013 e nel 2018.

Pubblicato da
Lorenzo Palmisciano

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