Governo, stasera le dimissioni dei Ministri, dicono i ben informati. E nessun reincarico a Conte

Il Consiglio dei Ministri di questa sera dovrebbe essere l’appuntamento che dà il via alla crisi di Governo: dopo il voto sul Recovery Plan, infatti, i Ministri di Italia Viva dovrebbero rimettere i propri incarichi. 

Crisi, stasera le dimissioni dei Ministri Renzi: "Nessun Conte ter"
Matteo Renzi/Filippo Monteforte, Getty, Images

Il giorno della resa dei conti è arrivato. Il giorno in cui il Consiglio dei Ministri discute il Recovery Plan, dopo settimane di polemiche, ed in cui, soprattutto, la crisi di Governo che è nell’aria da tempo dovrebbe iniziare a concretizzarsi. Matteo Renzi, fresco dei festeggiamenti per il quarantaseiesimo compleanno, lo ripete da giorni a chi gli è più vicino: martedì sera i Ministri di Italia Viva Teresa Bellanova ed Elena Bonetti rimetteranno i propri incarichi. Ma solo dopo aver affrontato la discussione sul piano di gestione dei fondi europei: fa politica sostanzialmente da tutta la vita, Matteo Renzi, e sa che in questa battaglia per la sopravvivenza – perché Italia Viva si gioca, probabilmente, la stessa possibilità di continuare ad esistere – passare per quello che mette i propri interessi davanti all’emergenza che il Paese sta attraversando sarebbe incomprensibile per la stragrande maggioranza dell’elettorato. “Io non voglio bloccare niente. Capisco che qualcuno vorrebbe farmi fare la figura dell’irresponsabile, ma si sbaglia di grosso“, ripeteva ancora ieri ai suoi fedelissimi. “Quando arriverà il testo lo valuteremo e decideremo se astenerci o votare a favore in Consiglio dei ministri, perché prima di tutto viene l’interesse del Paese, ma subito dopo faremo quello che dobbiamo fare“: aprire la crisi.

E così il Conte bis, nato proprio su iniziativa di Matteo Renzi e sin dall’inizio ostaggio delle sue minacce, sembrerebbe essere arrivato al capolinea. Dopo i giorni della crisi congelata, in cui tutti i protagonisti hanno preso tempo per osservare le mosse altrui, tra stasera e domani – quando lo riterrà strategicamente conveniente – l’ex sindaco di Firenze darà l’input per procedere allo strappo finale. Prima, come sempre, aspetterà di vedere quali carte abbiano realmente in mano le altre forze di Maggioranza: il gioco di queste settimane è fatto di accuse, offerte, minacce e bluff incrociati, una guerra di nervi sfociata poi in uno stallo insostenibile che ora è destinato ad essere rotto: “Comunque questa settimana si chiude la partita“, ha ripetuto in questi giorni il senatore fiorentino per tenere pronti i suoi e per rispondere alle voci secondo cui il Premier si diceva sicuro del fatto che “tanto Renzi il Recovery deve votarlo per forza“.

E nell’incrocio di mosse e contromosse “mi hanno offerto di fare il Ministro degli Esteri“, fa sapere ancora il leader di Italia Viva. Proposta rifiutata: “Non mi interessano le poltrone“, ripete da un paio di mesi in una sorta di scioglilingua che ricorda un po’ l’approccio dei suoi arcirivali grillini. “Di me, per la verità, non hanno compreso niente, pensano che poi mi tirerò indietro, però non è così“, dice. E in effetti, dopo un anno e mezzo passato a minacciare crisi sempre rientrate, questa volta le cose sembrano essersi davvero spinte troppo in avanti per immaginare un esito pacifico della questione.

Eppure, le rispettive diplomazie cercano ancora la strada di una ricomposizione, di un accordo che possa mantenere in piedi questa Maggioranza. Magari prendendo altro tempo, aspettando una ventina di giorni prima di staccare la spina, in modo da completare l’approvazione del Recovery Plan anche in Parlamento, come chiesto – tra gli altri – dal più importante degli osservatori: il Quirinale, il cui obiettivo sarebbe quello di blindare il piano di gestione dei fondi europei e, a quel punto, aprire una crisi pilotata da risolvere in due o tre giorni al massimo. Un passaggio quasi indolore, che permetterebbe di non perdere altro tempo rispetto alle scadenze europee.

Renzi, però, pare essere di altro avviso: determinato a portare avanti il suo piano, convinto che la compattezza dei gruppi parlamentari di Italia Viva alla Camera ed al Senato lo metta al riparo dal rischio di fuoriuscite, l’ex sindaco di Firenze sembra aver anche allontanato lo spettro del voto anticipato – visto che in molti, tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle vedono questa soluzione come fumo negli occhi. “Io non indietreggio di un passo“, ripete.

La vera partita, a questo punto, sarà quella che si aprirà una volta che Bellanova e Bonetti, ritirandosi formalmente dal Governo, avranno aperto la crisi. L’ipotesi di un Conte ter, per quanto smentita a più riprese dallo stesso Renzi, rimane sul tavolo: costringere il Premier a salire al Colle con le dimissioni, dopo aver profondamente modificato il Recovery, e spingerlo a varare un nuovo Esecutivo in cui, ci sarebbe da scommetterci, la delegazione renziana sarebbe più forte e più nutrita, sarebbe comunque una vittoria per l’uomo di Rignano. Per ora, però, su questa ipotesi nessun accordo: l’ex sindaco vuole che la richiesta sia avanzata da Conte e pretende che la crisi si apra formalmente. “Per me non esiste nessuna crisi pilotata, nessun Conte ter, io posso anche votare il Recovery, ma poi apro una crisi vera“, si è sentito dire il capodelegazione PD Dario Franceschini nei giorni scorsi, in un ultimo, quasi disperato tentativo di mediazione. Fino all’ultimo, spiegano da Italia Viva, Renzi farà tutto il possibile per avere un altro Premierperché Conte non è all’altezza della fase drammatica e difficile che stiamo vivendo“.
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