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Economia

Recovery Fund: accordo lontano, rivisti al ribasso i fondi per l’Italia

Diversi i nodi da sciogliere a Bruxelles: dal totale dei fondi alle condizionalità, passando per la divisione tra prestiti e fondo perduto. L’Italia fatica a trovare un accordo in Europa. 

La partita per il Next Generation Eu – il piano da Recovery Fund – della Commissione Ue sta per entrare nella sua fase più critica e vive di continui stravolgimenti. A Bruxelles, in questi giorni, sotto traccia, il braccio di ferro tra gli Stati Ue non ha prodotto nessun risultato soddisfacente. Come spiega Il Corriere della Sera, la speranza della Commissione di arrivare al prossimo Eurogruppo – previsto per il 9 e 10 luglio – con accordo di massima, quantomeno sulla struttura del piano di aiuti, diviene giorno dopo giorno una chimera. Il programma, che vale in toto 750miliardi di euro, divisi tra 500 a fondo perduto e 250 tra finanziamenti e prestiti, è stato respinto sia dai cosiddetti Paesi “frugali” (Austria, Danimarca, Paesi Bassi Svezia, con il  sostegno dalla Finlandia), sia dal blocco di Visegràd (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia). Distanze ormai incolmabili con Italia e Spagna – i Paesi più colpiti dalla pandemia Covid – che potrebbero portare ad un clamoroso stralcio della proposta iniziale varata dal Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen.

Nel piano originale sono previsti quasi 172miliardi di euro per l’Italia, 91 a fondo perduto e il resto tra prestiti e finanziamenti a vario titolo. Una cifra altissima, ridimensionata varie volte, su cui il Governo del Premier Giuseppe Conte sta progettando – proprio in questi giorni a Villa Pamphili – il piano di rilancio economico del nostro Paese. Come spiega La Stampa, per cercare di trovare una compromesso che possa soddisfare tutte le parti in causa è sceso in campo anche il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, che sta lavorando ad un piano che possa salvare i punti in comune del progetto della Commissione (pochi) e modificare i passaggi critici (tanti). Il primo problema sono i fondi: troppi i 750miliardi, secondo gli Stati frugali, pochi secondo gli Stati più colpiti dal Covid. Un aspetto che sembrava fuori discussione sino a poche settimane fa, quando per il Governo Conte è arrivata la doccia fredda da Berlino, con il Ministro per le Finanze tedesco Olaf Scholz che – spalleggiato da Angela Merkel – ha riproposto il vecchio patto siglato dalla Germania con il Presidente francese Emmanuel Macron di 500miliardi per il Recovery.

Senza l’appoggio tedesco, questo fronte potrebbe presto cedere ed è probabile che su questo punto l’Italia dovrà arrendersi e vedere i fondi attribuiti in precedenza notevolmente ridotti. Il secondo punto è sulla divisione dei fondi stessi: Paesi Bassi e Austria, in particolare, spingono per una maggioranza di prestiti e non a fondo perduto, per un rapporto di 2/3. Conseguentemente, aumenterebbero le restrizioni e i controlli della Commissione Ue, della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale nei confronti di tutti i Paesi aderenti. Saranno sottoposti a stretta sorveglianza i programmi varati per il rientro dei prestiti e chieste riforme congrue per il futuro. Il Ministro delle Finanze Roberto Gualtieri ha già comunicato ai suoi omologhi europei che una soluzione del genere non potrà essere accettata. Vedremo. Ciò che incute più timore sul versante italiano è che i Paesi del Nord non si siano limitati, chiedendo che tutti i Governi dell’area Ue possano interferire sui controlli dei bilanci interni dei Paesi che hanno accettato i finanziamenti.

Il discorso condizionalità, dunque. La paura più grande per gli italiani, ovvero la restrizione di intervento sui conti pubblici e sui circuiti finanziari. Superare questo ostacolo sarà complicato. I Paesi frugali sanno che il piano originale non potrà mai essere accettato e votato dai loro rispettivi Parlamenti. Viceversa, il Governo italiano sa bene che un piano con alte condizionalità potrebbe segnare anche la sua sconfitta sul fronte interno. Capitolo a parte resta il Mes: Conte, semmai ce ne fosse bisogno, vorrebbe utilizzarlo soltanto dopo l’approvazione del Recovery, Questo per due motivi: il primo, nell’ambito europeo, l’elargizione di 37miliardi di euro rafforzerebbe le argomentazioni dei Paesi frugali che accuserebbero l’Italia di aver già usufruito di diversi fondi; il secondo, sul piano della politica nazionale, Conte rischierebbe di spaccare la Maggioranza e offrire il fianco all’attacco del centrodestra. Ma c’è di più: qualunque piano approvato non sarà disponibile sino a gennaio 2021 e nessun anticipo è previsto. Se gli Stati Ue non troveranno un accordo in breve tempo, la decisione potrebbe slittare a settembre ed allungare ancora i tempi. L’Italia è sola e l’autunno prossimo dovrà fare i conti con una crisi che si prospetta più devastante di quella del 2008.

 

Mario Cassese

 

Fonte: La Stampa, Il Corriere della Sera

 

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