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Cronaca

Silvia Romano, il papà Enzo: “Lasciatela in pace, cerca solo di sopravvivere”

Enzo Romano potrebbe essere un padre qualunque; invece il suo cognome rimbalza in queste ore sulle pagine dei giornali e nei media, dopo la liberazione di Silvia, sua figlia, ostaggio per 18 mesi dei terroristi di Al Shabaab. 

Enzo Romano, papà di Silvia – la giovane cooperante liberata e tornata in Italia lo scorso 10 maggio dopo una prigionia durata 18 mesi da parte del gruppo jihadista somalo Al-Shabaab – ha lanciato un appello in difesa della giovane dopo gli ultimi avvenimenti sul caso. La Procura di Milano ha aperto un’indagine, al momento a carico di ignoti, per minacce aggravate, a seguito dei numerosi post offensivi e minacciosi indirizzati alla ragazza e circolati sul web. Al vaglio degli inquirenti, anche delle lettere minatorie giunte presso l’abitazione della giovane, a Milano. Il giorno dopo l’arrivo di sua figlia, Enzo Romano ha parlato alla stampa di come ha vissuto i 18 lunghi mesi in cui Silvia è stata tenuta prigioniera, ma anche dell’emozione nel rivederla viva e nel riabbracciarla, all’aeroporto di Ciampino. “Ho voluto accogliere Silvia come meritava, inchinandomi davanti a una figlia di cui sono orgoglioso”, ha detto l’uomo. “Come lei, ci sono tanti ragazzi che si danno da fare il prossimo e che sono in prima linea. Non è andata in Africa per diventare un’icona”, queste le sue parole riportate sull’ HuffingtonPost. 

Dopo la felicità iniziale, le polemiche hanno preso il posto della gioia. Intervistato da Radio Capital, Romano ha chiesto che vengano spenti i riflettori su sua figlia, la quale, ha spiegato, ha bisogno di riposare e superare una terribile esperienza. Come spiega Repubblica, l’insofferenza della famiglia Romano appare evidente: “Noi vogliamo stare in pace, abbiamo una ragazza da proteggere, abbiamo bisogno solo di ossigeno”. E continua: “Non è che se uno sorride sta benissimo, non confondiamo il sorriso con la capacità di reagire per rimanere in piedi dignitosamente da una situazione che ti porta alla depressione”. Parole che lasciano presagire che la famiglia stia cercando di lasciare alla ragazza il tempo di reagire prima di affrontare varie questioni: su come sia stata trattata durante la prigionia fino alla sua conversione all’Islam e il cambio di nome in Aisha. E conlude: “Meno male che ha un po’ di palle e cerca di reagire, ma è la sopravvivenza”.

 

Fonte: HuffingtonPost, Repubblica

Pubblicato da
Mario Cassese

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