“Ora è ancora troppo presto”. Per gli esperti riaprire potrebbe essere un suicidio

oLa differenza della circolazione del virus tra Regioni rende inverosimile un’apertura contemporanea. Secondo il virologo Andrea Crisanti, è troppo presto per alcune zone, come la Lombardia o il Piemonte, ancora alle prese con una curva troppo alta di contagi. Ma non è solo lui a dissentire. E si comprende il difficilissimo tentativo di mediazione operato da Conte.

Il virologo Crisanti: "Troppo presto per tutte le Regioni: riaprire soltanto il alcuni territori" - Leggilo.org

L’alleggerimento delle misure di contenimento, nei modi e nei tempi, annunciato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte nella conferenza stampa della serata di ieri, non convince la Comunità Scientifica. La cosiddetta fase due, quella della convivenza con il virus, ha elevatissimi rischi: servono piani di prevenzione completi, la cui applicazione sarebbe dovuta iniziare settimane fa. Non sembra esserci un progetto chiaro, ma vari tentativi che verranno poi valutati a distanza di 14 giorni. Una preoccupazione espressa, come scrive Il Giornale, anche dal virologo Andrea Crisanti, Ordinario presso l’Università di Padova e Direttore del laboratorio di Microbiologia del Policlinico della città veneta, promotore presso la Regione governata da Luca Zaia del progetto di isolamento e tracciamento del territorio, che ha permesso al Veneto di abbattere notevolmente la curva dei contagi. Nella Regione del nord-est, dove si era sviluppato il secondo focolaio del Paese a Vo’Euganeo, pochi giorni da quello di Codogno in Lombardia, quello che oggi viene ribattezzato “Metodo Crisanti” ha permesso di evitare il propagarsi dell’infezione, intervenendo immediatamente sui positivi, isolandoli e curandoli.

Spiega il Professore: “L’8 marzo quando è stato deciso il Lockdown avevamo registrato 1.797 contagi in più in un giorno. Ora siamo ancora sopra i 2mila nuovi casi in 24 ore. Non capisco che cosa ci sia di diverso oggi rispetto al giorno in cui abbiamo deciso di chiudere tutto“. La soluzione di Crisanti sarebbe dovuta essere diversa, e molto cauta. Secondo il docente bisognava: “Riaprire ma non tutti insieme e soprattutto non nelle Regioni dove i contagi sono ancora moltissimi e la percentuale di crescita è sostenuta. Io aprirei soltanto in 2 al massimo 3 Regioni con diffusione bassa del virus”. Secondo il virologo, non c’è un razionale scientifico alla base di questa scelta, ma si va avanti a tentativi in modo e dilettantesco: con la riapertura, il rischio di un contagio di ritorno è elevatissimo. Per Crisanti, le riaperture a scaglioni avrebbero dovuto essere previste anche per le Regioni, data l’enorme differenza della circolazione del virus: partendo dalla Sardegna, isolata e con un numero basso di contagi; passando a Regioni del Sud, dove è basso il livello di contagio, come Basilicata o Molise; infine, il Nord, partendo forse proprio dal Veneto, che ha saputo abbattere la curva dei contagi, ed è una zona ad alta industrializzazione.

Attualmente, ha continuato Crisanti, non abbiamo modelli “comportamentali del virus”, e non abbiamo la certezza che l’estate possa aiutare nel calo dei contagi. In più, ha specificato il Professore veneto, c’è un altro aspetto molto importante da considerare: non vi è alcuna certezza che i test sierologici, annunciati dal Governo, possano definire un quadro completo della situazione nel Paese. Conclude Crisanti: “Non servono a nulla. L’OMS ha spiegato che non esiste la possibilità di assegnare patenti di immunità. Non sappiamo se sia possibile ammalarsi di nuovo, non sappiamo per quanto tempo un positivo resta contagioso”. I test sierologici hanno un valore statistico, ma anche in Fase 2 servono i tamponi in quanto fotografano soltanto la situazione esistente al momento, ma sono utilissimi ai fini dell’isolamento dei positivi non appena vengono individuati.

È scettico anche Giovanni Di Perri, virologo del reparto malattie infettive dell’ospedale Amedeo di Savoia di Torino, membro della task force regionale:”Allo stato attuale, il rischio di dover ricominciare da capo con il Lockdown dopo due settimane, ossia il tempo medio di incubazione del virus, è forte” ha detto il medico, parlando con il Fatto Quotidiano, e ha aggiunto: “Ma lo stato attuale non è quello del 4 maggio. Dieci giorni non sono pochi. E saranno dieci giorni decisivi”, puntualizza con allarme, perché “non sappiamo ancora quali dati avremo il 4 maggio, non è impossibile che ci sarà un numero di casi tale da poter ritenere possibile l’inizio della fase 2, ma è troppo presto per dirlo

Posizione, anche questa, non dissimile da quella che già stata espressa anche da Massimo Galli, Professore Ordinario alla Statale di Milano e Direttore del reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale Luigi Sacco di Milano, che ad Askanews, che aveva auspicato un’apertura diversa da Regione in Regione. Per Galli, ad esempio, la Lombardia, la più colpita dall’epidemia, non sarebbe fuori pericolo. Spiega Galli: “Forse non abbiamo ancora metabolizzato il fatto che il Sars-Cov-2 non ce lo butteremo tanto presto dietro le spalle, ci dovremo convivere, ricordando che siamo senza rete con un virus senza cura. E continua: “Per riaprire dobbiamo essere pronti, non possiamo permetterci di farci scappare i contagi e una ripresa della circolazione del virus”. I numeri ci dicono insomma che non tutta l’Italia è allo stesso punto della curva dei contagi: pertanto, secondo gli scienziati, la riapertura deve essere a scaglioni, geografici e non solo.

 

Fonte: Il Giornale, Askanews

 

 

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