15 anni: si uccide perché nessuno ha messo “mi piace” alla sua foto

Ruby Seal aveva 15 anni quando si è uccisa perché non riusciva ad ottenere abbastanza “mi piace” sulle sue foto social.

ruby seal

Per i genitori dei millenials è molto difficile educare i giovani a tutti gli strumenti che hanno a disposizione: questo perché non c’è un esempio a cui fare riferimento. La penetrazione della tecnologia, in particolar modo degli smartphone, ha fatto sì che ogni individuo possegga almeno un cellulare. Anche gli adolescenti – e sempre più spesso i bambini nei primi anni di scuola – ne hanno uno. Questo fa sì che ci sia un’esposizione sempre più precoce ai social, che non sono necessariamente solo Facebook e Instagram, ma anche Tik Tok, un’app molto usata dai giovanissimi (addirittura da bimbi di 6 anni) in cui si canta e balla condividendo le proprie “performance”. In generale, i social più amati dai giovani sono basati sull’immagine che si dà di sé, che non necessariamente corrisponde alla realtà. Ci si convince così che più “like” o “cuoricini” si ricevano, più si sia dei vincenti nel mondo reale. Al contrario, soprattutto in un’età delicata come l’adolescenza, se sono di meno o non ce ne sono, si pensa di non valere nulla.

E’ probabilmente quello che ha pensato Ruby Seal, una ragazzina di 15 anni che nel 2017 si è uccisa perché appunto non suscitava secondo lei l’interesse sperato.

Ruby, suicida a 15 anni per colpa dei social

La notizia è riportata da The Sun; la ragazzina – come racconta la madre – era diventata dipendente dalle chat di Snapchat. Non usciva più di casa, né dalla sua stanza, come gli hikikomori giapponesi: il suo mondo insomma era diventato molto piccolo e non c’era verso di farla uscire. “Ruby da bambina era divertente, intelligente, spiritosa – ha raccontato Julie, la mamma – poi le cose sono cambiate quando è cresciuta. Ha cominciato ad aver paura di non piacere alla gente e queste insicurezze hanno preso sempre più piede con l’uso dei social. È facile dire “togli il telefono a tua figlia”, ma non è così facile. Anche le piattaforme dei social devono assumersi le loro responsabilità. Nessun bambino deve perdere la vita perché ha preferito vivere in una vita virtuale e non in quella reale”.

La ragazzina si è tolta la vita il 21 febbraio 2017 e il suo corpo è stato trovato dalle sorelle minori, che devono convivere per tutta la vita con questo ricordo. La mamma è convinta che se i social non fossero esistiti sua figlia sarebbe ancora viva. Pare inoltre che la ragazzina abbia lasciato un messaggio a due amiche di Newcastle in cui diceva “Penso che farò bene a suicidarmi questa mattina” senza però ricevere risposta.

Senza fare troppa filosofia spicciola, il mondo dei social – pur con le sue enormi potenzialità – può renderci tutti più soli. Pensiamo ad esempio ai luoghi in cui si riusciva ad avviare una conversazione, come per esempio il treno o i concerti. Adesso ognuno è impegnato a costruire la propria bolla di amici virtuali, persone che probabilmente non incontrerà mai e di cui non gli importa niente. Certo, come dice la mamma di Ruby se i social non ci fossero sarebbe più semplice, ma esistono ed è questo il mondo in cui i nostri figli sono nati. il problema è che non possiamo insegnare ai nostri figli ad usare degli strumenti che noi stessi come adulti non conosciamo e che anzi usiamo a nostra volta in maniera sbagliata. Siamo noi i primi a fotografarci in ogni situazione e in ogni luogo, a sbattere i nostri figli sui social prima ancora che nascano. Non possiamo pretendere che loro compiano il lavoro che non riusciamo a fare noi. Siamo noi i primi narcisisti, i primi a pensare che avere tanti “follower” sia sinonimo di successo. Il Dalai Lama dice: “Questa è un’epoca in cui tutto viene messo sulla finestra per occultare il vuoto della stanza”. E a giudicare da quello che si vede, a volte quelle stanze sono davvero molto spoglie.

 

Fonte: The Sun

 

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